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PAOLO SPACCAMONTI & DANIELE BRUSASCHETTO
"Burnout (August Sessions)"
(Bosco / Brigadisco / Old Bicycle, 2014)

Paolo Spaccamonti & Daniele BrusaschettoAndrej Tarkovskij, parlando del suo film “Stalker”, disse che l’anima è assetata di armonia, mentre la vita, invece, è disarmonica. Paolo Spaccamonti e Daniele Brusaschetto sono un duo di Torino che circa tre anni fa, in una session durata due giorni ed armati solo di due chitarre e di due Marshall, registrarono questo album. Paolo Spaccamonti, chitarrista e compositore, ha collaborato con Damo Suzuki (CAN), Six Organs Of Admittance, Offlaga Disco Pax e Julia Kent, per citarne alcuni, in più realizzando due album da solista. Daniele Brusaschetto è quasi un veterano dell’underground italiano ed internazionale, realizzando ben undici album, ultimo in uscita nel 2014 per la Bosco Rec Rapida E Indolore. Burnout (August Session), formatosi con zero scrittura e zero di niente, è il vivere momenti di disperazione, un continuo smarrimento delle proprie speranze, una dissoluzione delle proprie illusioni, un continuo rivivere il senso di vuoto.

L’album si apre con la traccia Take 1 che va proprio a sottolineare l’improvvisazione; ritmiche claustrofobiche e frammentate, una distorsione granitica a far da fondale creano un’armonia sottile e impalpabile in cui domina uno scenario post-industriale e cupo. In Take 1 è evidente l’isolazionismo, il senso di vuoto e di oppressione creano un’atmosfera Tarkovskiana in una Torino deserta. Le due tracce che seguono, Spacchetto e Cliff, sono costruite attorno a modulazioni noise con sparute note di chitarra che vengono sommerse ad intermittenza da bordoni cosmici, l’impressione è quella di compiere un lungo viaggio interspaziale e il conseguente senso di vertigine e di paura nell’avvicinarsi all’ignoto. Proprio con Agosto, l’emblema della solitudine e dissoluzione, il duo ci proietta in un turbine di rumori e distorsioni, che ha lo scopo di stordire, una sorta d’impatto con un’atmosfera non permeabile dove il tutto finisce con un soffocato silenzio. Altre due tracce che seguiranno, Spasmi e Ghost Piano, si distendono su territori armonici decisamente più usuali anche se del tutto ipnotici, chiudono questa allucinatoria avventura in cinque frammenti. È Da Tanto Che Non Balliamo è un altro incubo profondissimo di devastazione psicologica, tra pulsazioni intergalattiche e palpitazioni sintetiche, un’altra espressione di terrore latente del senso di vuoto. Uno strumentale abissale di quasi cinque minuti dove la melodia scompare nuovamente, lasciando il posto alla solita atmosfera tumefatta e malata. La successiva Motorcity è composta da ritmiche catatoniche e ultra-dilatate del post-rock e dello slo-core il tutto bilanciato da echi di eterea psichedelia. Continui rallentamenti di una quasi chitarra svogliata accompagnata da una dissonanza intermittente che confonde e deforma e rende questa traccia una marcia, una musica che avanza come in trance, avvolta in una nebbia lattiginosa. Ultima traccia Vangelis, di appena due minuti chiude questo album superlativo dove l’io è nello spazio più profondo, l’uno è nel tutto, il finito si confonde con l’infinito e il tempo è eterno. In questa ultima composizione è racchiuso l’effetto “Burnout”, una condizione di stanchezza fisica, emotiva, e mentale dove le persone si logorano lentamente e si perdono forse per sempre. La Zona non è nulla, la Zona è la Zona, la Zona è la vita. La Zona attraversa l’uomo o si spezza, o resiste ed è questa anche la condizione dell’essere umano, così raccontava Tarkovskij.

Daniele Carcavallo

FUTEISHA
"Dannato"
(Brigadisco / Old Bicycle, 2014)

FuteishaDannato è l’album di esordio di Futeisha (nome della compagnia del malcontento, una società anarchica segreta fondata nel 1923 in Giappone) all’anagrafe Juan Francisco Scassa. Argentino trapiantato a Torino. Un album che si presenta come un meltin pot sonoro, una sorta di viaggio anarchico verso il sud est asiatico alla ricerca delle proprie origini. Vengono immaginati scenari di un passato reso ormai lontano da scorci di futuro. Riproposizione frammentaria di flashforward colmi di tragedia, dipingono il soffocamento mentale di forti tinte grigie, rese uniformi da strascichi di colore rappreso facilmente. Il presente è un appannaggio mentale contaminato da scottanti frame spaventosi. La traccia di apertura Temujin, brano dalle forti melodie celestiali generate da corpi elettrici liberi di vagare nello spazio e dalle atmosfere oniriche che creano forti tensioni e coinvolgimento emotivo. Temujin è un elogio alla lentezza, un’episodico frammento che ci riporta indietro nel tempo sui campi di battaglia dell’impavido Gengis Khan e al suo esercito. Storia e mito confluiscono nel racconto dilatando ogni forma temporale, rendendo lo stesso un frame di una proiezione in corso. Continuando l’ascolto si ha la percezione di un vibrante racconto musicale. La storia replica il corso della morte. Lamento Funebre Per Tutti Noi è una ballata strumentale che segna l’inizio di questo viaggio a ritroso nel tempo. Eccoci alla traccia che da il titolo all’album Dannato, una vera marcia spettrale, un vento cosmico spira tra ululati pulsanti lontanissimi e detriti di elettronica disintegrata echeggiano lungo una spirale ciclica temporale. Un vero e proprio spartiacque dell’album, Il Colore Verde è la traccia che ci porta nella Parigi del 1927 lontano dagli scenari asiatici. Il verde “forse” per Futeisha è il colore che contrasta il rosso e cioè la giustizia alla compassione. L’uomo reso cieco dalle proprie atrocità ha la possibilità di una seconda chance attraverso la giustizia. In Una Ma§ana il ronzio tormenta il nostro ascolto, sonorità fioche ed impalpabili esprimono emozioni che non richiedono di essere urlate, tanto da trasportarci in un’altra dimensione su un fluido e dolce tappeto. Aspettando Di Essere Colti Dalla Morte Nel Sonno è un ipnotico e statico intermezzo, nulla si muove, siamo assaliti da un improvviso senso di vuoto e allo stesso tempo di pace, pronti a terminare questo viaggio. L’album entra in una catarsi con Marceline dove zone di penombra farfugliano parole incomprensibili, vengono timidamente accese da una stridula e atroce elettricità rappresentata da una chitarra, tanto da bastare a mostrarne il mistero. L’ultimo intermezzo e penultima traccia intitolata Morte In Spiaggia è un altro luogo di stasi in cui l’autore immagina che il tempo è fuor di sesto, un non luogo, dove spazio e tempo collassano su se stessi ricreando una realtà alternativa al di là del campo percettivo; siamo li in spiaggia con un cocktail ricoperto di frutta esotica con tanto di cubetti di ghiaccio pronti a morire nel mese di febbraio. Ultimo balzo indietro, la fine coincide con l’inizio, il tempo si è annullato, siamo in Argentina, la radio parla, le frequenze sono incerte, rumori, distorsioni, è l’inizio della fine.

Album quanto mai vario e articolato, in perenne equilibrio tra sensazioni armoniche avvolgenti, costellato da arrangiamenti lievi e un’asprezza rumoristica ricca di suggestive partiture elettroniche. Insomma, molto più di un buon inizio.

Daniele Carcavallo

PLASMA EXPANDER
"Live3"
(Bloody Sound Fucktory / Brigadisco / Villa Inferno / Wallace, 2014)

Plasma ExpanderLive3 è il nuovo disco dei Plasma Expander band sarda composta da Fabio Cerina alla chitarra, Andrea Siddu alla batteria e Corrado Loi al basso, ai synths e ai samples. L’album seppure live è stato registrato in studio. Il disco è composto da cinque tracce, solo l’ultima Otra Vez è inedita mentre le altre già presenti nei precedenti lavori, Cube pubblicato nel 2013 e Kimidanzeigen nel 2009.

Al primo ascolto Live3 è un riverbero spettrale di sottili onde microcosmiche che echeggiano nell’aria creando un ascolto acido e allucinatorio. Lo sforzo di ricerca e contaminazione per una pseudo perfezione è già presente nella traccia di apertura Beacon, ipnotico groove che richiama alla mente un viaggio ad alta velocità in metropolitana al di sotto di un treno. Lo scorrere dei binari, lungo questo tragitto dalla destinazione proiettiva ad un nuovo lavoro, crea un complesso frastuono math/psych e con lo scorrere dei minuti la struttura viene deframmentata da battiti ritmici e trasmuta in un psych/stoner del tutto oscuro. Continuando l’ascolto di Live3 per Hands In Your Guts la matrice rimane la stessa come in continum spazio/temporale ridotto all’osso, il collasso sembra imminente, le continue esplosioni ritmiche del trio creano un vortice di azioni attrattive interne non più equilibrate dallo spasmodico sound deformante, creando una rapida contrazione delle dimensioni sino al passaggio ad uno stato degenerativo, ed è proprio con Why Not che i Plasma Expander raggiungono il compimento dell’irreversibile. Traccia già presente nell’album del 2009 Kimidanzeigen i Plasma Expander si allontanano con un lampo dal passato, anche se l’ossatura del brano rimane invariata, il sound viene arricchito da una miscela noise in un continuo rimbalzo sonoro, la chitarra di Fabio Cerina ci conduce in un assalto parossistico e atonale, un lungo feedback perpetuo e degenerativo. Il cul de sac dell’album si raggiunge con Exploder ultima del quartetto di tracce di questo viaggio nel passato dei Plasma Expander. Una sottile linea separatrice tra il passato oramai accennato, riproposto e ricostruito ed il futuro ancora sordo dove iniziano i primi echi di una nuova anima. Forse è la traccia più psych dell’intero album una fluttuazione tantrica, l’impulso sonoro domina nel tempo generando una sovrapposizione di suoni che riproducono esattamente quello originario, “l’Atman” sembra compiuto, ma la band ci propone Otra Vez, una sorta di trampolino di lancio al prossimo disco, un elevato magnitudo struggente, una ballata maniacale che rivela tutto il potenziale del trio ed è una sorta di firma “alla scena underground del movimento psichedelico statunitense”.

Indubbiamente la musica dei Plasma Expander e l’ascolto di Live3 risvegliano le fantasie più inquiete dell’inconscio umano e delineano oscillazioni elettroniche, dando l’impressione che anche l’aria dell’ambiente che ci circonda subisca una rarefazione e inflessione ottica caratteristiche del miraggio. Buona la “re”prima.

Daniele Carcavallo