A.V.
"Milano New Wave 1980-83"
(Spittle, 2008)

Milano New Wave 1980-83Dici Detroit e pensi al rock di MC5 e Stooges, se chiaccheri di no wave immagini loft a New York colmi di situazionisti very cool, in quel viaggio a Manchester non hai potuto fare a meno di cercare il vecchio sito dell’Hacienda dove erano di casa Stone Roses e Happy Mondays. Ci sono città legate strettamente a movimenti, ad un genere, spesso così strettamente da lasciare l’impressione che esista anche una naturale similitudine estetica, per cui quel genere non poteva nascere che lì. Avete presente una certa psichedelia anni ’60, sun and flower? Difficile immaginarla altrove, così comodamente innestata fra le brezze oceaniche californiane. E l’Italia? Fatte le debite proporzioni (in Italia in fondo certa musica non l’ha mai cagata nessuno) ci sono forse posti che hanno legato i loro destini degli ultimi decenni, anche solo per qualche mese ad un genere, ad un movimento? A memoria vengono in mente piccoli fenomeni, il Great Complotto in Friuli attorno alla scena di Pordenone, l’interessante commistione fra nuova elettronica e sonorità etniche alle falde del Vesuvio ad inizio anni ’90, i primi vagiti della new wave a Firenze. Firenze? Eppure se dovessimo giocare e pensare ad un posto ove la New Wave avrebbe dovuto trovarsi a suo agio immagineremmo più scenari post industriali, grigi marziali ed imperanti, rispetto a meraviglie rinascimentali, cupoloni e lampredotto a buon mercato. Io avrei forse pensato a Milano. La piccola metropoli operosa all’epoca viveva la fase iniziale della sua irresistibile ascesa, fra mille contraddizioni, spaesata fra l’impegno in prima linea di tanti e l’edonismo suadente pronto a prendere il comando. La musica in città stava perdendo il naturale appoggio della coscienza politica, che tanto l’aveva aiutata, ma che tanto aveva decretato successi e fallimenti con criteri spesso discutibili e lontani da valutazioni artistiche. La new wave arrivò anche lì, ebbe un peso piuttosto leggero, ma non senza la presenza di idee interessanti e personaggi di rilievo. Milano New Wave 1980-83 è un compendio degli anni principali del movimento, e si basa su alcuni dei nomi principali che giravano in città. Piccoli nomi, tre dei quattro presenti nella compilation non arrivarono a pubblicare un disco, ma capaci di fornire spunti decisamente interessanti. Si comincia con gli Other Side, new wave ben suonata, di stampo piuttosto classico, con qualche ottima trovata. Quello che un assassino della lingua chiamò “un bel tiro” regge bene le sorti di The Taste Of The Fables e Central, ma su tutte segnalo Praise, tre minuti di variazioni, la chitarra che si concede belle escursioni in sonorità tropicali, apparentemente l’esatto opposto del mood che ci si aspetterebbe. Funziona, nonostante una voce non memorabile ed una registrazione dignitosa, ma che sente il peso degli anni. Gli State Of Art, capitanati da Fred Ventura (merito sua l’idea e la produzione di questa Compilation) hanno un approccio meno personale, l’influenza dei Talking Heads si sente dalle prime note della chitarra e del cantato di Downtown, si conferma in Dantzig Station, entrambi peraltro gradevoli e suonati bene. Si sfocia in territori che lambiscono il funky con At Night ed addirittura la disco con Show Me … si ha francamente più la sensazione di una direzione poco chiara che di una poliedricità governata, pur rimanendo il tutto di estrema godibilità. I più sghembi del lotto sono i quasi strumentali La Maison: se esistesse un “No Milano”, Igloo ne sarebbe il pezzo d’inizio ed il sicuro manifesto. Campionamenti, utilizzo sporadico di elettronica, gruppo dall’approccio molto interessante, sia quando si dedicano a colonne sonore di gusto metropolitano, Mercedes, che quando arrangiano danze robotiche, ipnotiche e convincenti, Jet Two. Bella anche la chiusura di Narciso, unione fra strida industiali di civiltà estinte e sonorità esotiche. Una voce femminile ed un synth completano l’organico degli Other Side, formando i Jeunesse D’Ivoire, che ebbero addirittura qualche contatto con la nascente Mute Records. Bello l’intro di a A Gift Of Tears, che forse con altra produzione e voce sarebbe potuto essere molto più di un pezzo godibile quale risulta. La ripresa di Praise, già apprezzata con gli Other Side, e qui declinata in chiave synth rock, è di buon livello, ma inferiore alla versione degli Other Side, mentre la conclusiva Moon si fa notare per sonorità di stampo evocativo, che aiutano a chiudere il disco in maniera accattivante. Intanto a Milano le cantine diminuivano, i modelli erano mutati e altra musica sembrava più in linea coi tempi … si dovette aspettare gli anni ’90 per del rock milanese che si riavesse dal torpore, e altri dieci anni e passa per riscoprire ed apprezzare questi nomi che all’epoca hanno provato a far parte della nuova onda. Disco consigliato ed interessante.

Luigi D’Acunto