PEEL DREAM MAGAZINE
“Rose Main Reading Room”
(Topshelf Records, 2024)

A due anni esatti dal già magnifico Pad, e a 36 anni, il giovane songwriter newyorkese Joseph (Joe) Stevens torna con un altro squisito e godibilissimo – lo affermiamo subito – manuale di sublime e articolato dream-pop metropolitano. A rendere possibile questo piccolo miracolo di 15 brani che risponde al nome di Rose Main Reading Room (quarto lavoro in studio) i suoi Peel Dream Magazine, un combo estremamente affiatato e funzionale che questa volta allinea il multistrumentista e batterista Ian Gibbs, la vocalist Olivia Bubaka Black, Lina Tullgren (violin), Lu Coy (clarinet). Poi c’è lui, Joseph Stevens, un piccolo genio pluristrumentista (organ, bass, synthesizer, mallets, guitar, drum machine, kalimba, piano, banjo, wurlitzer, fake drums) e suadente cantante di minimali seduzioni interpretative (le morbide I Wasn’t Made For War, Four Leaf Clover, Counting Sheep) ma già l’avevamo scritto a proposito di Pad. Ad arricchire il parterre vocale Olivia Bubaka Black con la vivace Lie In The Gutter e la seducente radio-friendly Wish You Well, uno degli episodi più intriganti del disco.

Con gli eclettici sketch sonori di Rose Main Reading Room Stevens e i P.D.M. tornano, dalla solare Los Angeles del precedente disco, nella brumosa e caotica natia (di Stevens) New York e nei suoi luoghi topici: The American Museum Of Natural History, Grand Central Station, Central Park West. Le generose note stampa lo descrivono in modo creativo “un genere di album concepito per accompagnare spostamenti cittadini in bus e solitari viaggi di giorni piovosi verso destinazioni accidentali”: a dare ragione a queste parole gli umori agrodolci della meditabonda Central Park West, di una ansiogena Oblast che è un trionfo di breakbeat, della dolcissima Machine Repeating con Brian Wilson sugli scudi. L’obiettivo del combo è spesso puntato (anche nella significativa e scarna copertina dell’album) su scorci fascinosi della natura e del mondo animale: l’incantata e incantevole Dawn, Migratory Patterns, l’ariosa Ocean Life, i sorprendenti bizzarri strumentali Gems And Minerals e Wood Paneling, Pt. 3 in cui Stevens fa tutto da solo.

Se scrivendo di Pad avevamo scorto nel sound dei P.D.M. già importanti e diffuse influenze artistiche, Beach Boys, Brian Wilson, Bacharach, High Llamas, Stereolab, in questo Rose Main Reading Room il delicatissimo e ispirato songwriting di Joseph Stevens e la sua algida espressività ci sono parsi arricchirsi di ulteriori e preziosi (forse inconsci?) richiami a illustri musicisti: le note stampa parlano di Sufjan Stevens e giustamente di un maestro contemporaneo del minimalismo come Steve Reich, data la preminenza nei 15 brani di splendide ripetizioni di minisequenze armoniche, drones, drum machine, electronics (R.I.P. (Running In Place), Recital).

Ma nel dream pop essenziale e gentile del disco abbiamo anche rinvenuto tracce dell’indie-pop dei Magnetic Fields del newyorkese Stephin Merritt (qualcuno se li ricorda?) e alla lontana della ineffabile magia espressiva di leggende anglosassoni di musica “diversa”canterburyana, Robert Wyatt, Henry Cow etc.. Una caterva di molteplici riferimenti che non inficiano, però, la seduttiva originalità dell’arte di Joseph Stevens, fresca come acqua sorgiva in questo nuovo album. Alla fine però non è del tutto fallace scomodare ancora una volta l’hypnagogic pop, wikipedia riporta che il giornalista David Keenan lo ha definito “musica pop rifratta attraverso il ricordo di un ricordo”: succede a tratti anche in questo Rose Main Reading Room. Nessuna traccia di nichilismo metropolitano in questo disco, una positiva e propositiva finestra sonora ed esistenziale aperta sul complicato mondo dell’iniziale terzo decennio dei duemila.

Pasquale Boffoli

 

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