AV-K
"Fracture"
(Manyfeetunder, 2015)

AV-KAV-K è il progetto principale di Anacleto Vitolo, salernitano, un lungo corso in musica in generi diversi, impegnato da qualche anno in sperimentazioni elettroniche decisamente accattivanti e lontane il giusto da una certa filosofia per cui la musica elettronica deve risultare faticosa e per lo meno noiosa per avere una sua dignità. Fracture è il suo ultimo lavoro, e siccome, senza una definizioni, la lettura prosegue spaurita, voglio tranquillizzare tutti e provarci. Potremmo provare a definire il lavoro come ambient music, non saremmo risibili, ma francamente c’è un gusto per i suoni acidi e per il ritmo che ci convince a pensarci meglio. Techno? In parte senz’altro si, ma lontana da atmosfere da dancefloor, per quanto cupi e futuristici. Glitch? Boh, la parola stessa, “glitch”, richiama a stridi e fruscii che effettivamente troviamo fra le tracce di Fracture, ma non da protagoniste assolute. Proviamo quindi a partire da questi punti e vedrete che le definizioni sopra vi appariranno tutte giustificabili e sufficienti ad identificare il lavoro, mentre sorseggiate in poltrona un Americano con i vostri amici, reali o immaginari che siano.

L’album si apre con Prx/Dlt, ottima progressione che nasce con connotati minimal ma evolve verso la sua negazione, atmosfere techno rave acide e scure. Sono i suoni che prediligo ed il pezzo fa scorrere inesorabile il suo fiume di catrame con impeto rumoroso ma controllato. Le atmosfere cambiano nella successiva 2, più vicina a distorsioni glitch e meno potenti, i battiti sono questa volta meno presenti e riposano, discretamente, al servizio di un ambient elegante, che si conferma anche nella successiva Fracture. La title track è arricchita da campioni onirici, voci o fiati, chissà, immersi in una bella fludità sonora, che sfiora a momenti un’insospettata melodicità e costituisce una colonna sonora evocativa e suggestiva. Bella architettura, non c’è che dire, giustamente reimmersa nel rumorismo acido dei minuti finali e restituita ad un senso di mistero fuori dal tempo. C’è spazio anche per atmosfere semi indutrial, Drag, in cui la drum machine settata ben oltre i 130 bpm domina inesorabile suoni lontani nel tempo e poco rassicuranti, e digressioni su sonorità più educate e canoniche, We, esercizio uptempo dai vaghi richiami drum’n’bass annegati in atmosfere psico-distrurbate. Il disco si chiude con Morph, altro salto, questa volta indolente, in territori industriali e totalmente asettici, e con la lunga 1114, suite ambient ai tempi dei bordoni, con un lunghissimo MI di ispirazione wagneriana suonato all’infinito, maciullato, torturato e tritato in un magma di mille rumori, da cui riemerge miracolosamente illeso accompagnandoci gentilmente alla riconquista del silenzio.

Buon progetto AV-K, si percepisce la ricerca dei suoni e sorprende la disinvoltura nel passare da ispirazioni di epoche ed ambienti differenti. Inoltre, pur non avendone ancora la controprova, ho l’impressione che Fracture dal vivo possa funzionare anche meglio. Sperimenteremo.

Luigi D’Acunto