PSYCHOPATHIC ROMANTICS
"S/T"
(Autoprodotto, 2014)

Psychopathic RomanticsYou Can’t Judge A Book By The Cover è il titolo di un vecchio pezzo del ’62 di Bo Diddley, che invitava, giustamente, a non fermarsi all’immagine di copertina nel giudicare la qualità letteraria di un libro. Lo stesso discorso credo valga, sostituendo, parafrasando il buon Diddley, un disco al libro, per la musica ivi contenuta. Non è il caso però della copertina del terzo lavoro dei Psychopathic Romantics, che pare uscita da un fotogramma del film “Al Di Là Delle Nuvole” di Michelangelo Antonioni. La band italoamericana con origini casertane, attiva dal 2005, confeziona per questo nuovo album autoprodotto, sette brani “particolari”, dalle svariate influenze e generi, che solo per nostra comodità potremmo riportare come post rock. Il loro terzo album, omonimo, si fregia ancora della voce caratteristica del batterista Mario “Dust” La Porta, che mi ricorda quella introspettiva di Blixa Bargeld e annovera Vincenzo Tancredi (basso e percussioni), Augusto De Cesare e Filippo Jr. Santoiemma alle chitarre elettriche e acustiche, che si destreggiano anche tra un’infinità di strumenti a corda e percussivi. È grazie a questa line up e alla loro ricca e varia strumentazione elettroacustica che la band è in grado di allestire un parco di suoni evocativi e timbriche evanescenti, adatti alla colonna sonora di un film di Wenders o del primo Sorrentino, come accade sia nella inquieta, incalzante, iniziale It’s All For You che in Open Up Wide, con, in quest’ultima, un bel solo di clarinetto dell’additional Giuseppe Giroffi, ma pure nella melanconica Bread And Circuses. I quattro sanno anche diversificare la proposta e lo dimostrano, rilassandosi, nel mariachi fischiettato e solare di I’ll See You There e nell’acustica tex mex oriented e vagamente scanzonata alla Joe Strummer, Einstein Said. Ma il siparietto dura poco, ci pensa la voce marziale di La Porta a ristabilire gli equilibri e l’inquietudine in The Gathering, lasciando poi la chiusura alla drum machine di Thank You, indubbiamente la più debole del lotto. Tutti i pezzi, in inglese, sono stati scritti dal leader Mario “Dust” La Porta con stile metaforico e riflessivo, che oltre ad avere un “tono” raro ed unico è anche dotato di una padronanza totale della lingua. Se il terzo disco di una band è spesso considerato quello della maturità, della conferma degli intenti, beh, credo che i nostri romantici psicopatici abbiano meritato l’alloro. Da marcare stretti per futuri, interessanti, sviluppi.

Giuliano Manzo