FABRIZIO MODONESE PALUMBO
"Doropea"
(Old Bicycle, 2015)

Fabrizio Modonese PalumboFabrizio Modonese Palumbo, sperimentatore sonoro torinese,  attivo da diversi anni in solo e con collaborazioni di tutto rispetto (Almagest!, Xiu Xiu, Carla Bozulich, Michal Gira!) torna con una release su nastro edita per Old Bicycle Records ove le due tracce che la compongono prendono il nome dal titolo stesso – rispettivamente come parte 1 e 2 – del suo Doropea. L’album si configura come un’opera omaggio alla sua Torino, punto fermo di un artista in continuo movimento, una sorta di narrazione in chiave sonora della storia personale, e non, dell’uomo e del suo rapporto con la sua terra natia. Una narrazione che per l’appunto si suddivide in due lunghe trame da 15 minuti: Doropea A si apre con quello che sembra il suono di un tono “puro” per poi arricchirsi di leggere distorsioni e di un piano che pare quasi dare una scansione ritmica al droning del brano. I field recordings vengono fuori in modo discreto dal tappeto sonoro da cui, saltuariamente, emerge il feedback di una chitarra elettrica, per un crescendo smorzato in modo (quasi) netto poco prima della metà del brano. Il feedback, la chitarra elettrica la fanno da padrone per la seconda parte della traccia in questione cui si sommeranno nuovamente i suoni, i droni, in apertura del brano stesso, la cui chiusura si affida in modo (quasi) circolare, al tono iniziale; Doropea B vede invece in modo più presente l’utilizzo di field, i quali ricoprono, in luogo del pianoforte del primo brano (in parte), il ruolo di ritmica. I toni, sebbene un’apertura non molto dissimile dal primo brano (fatta eccezione per il “russare” iniziale), risultano invece stavolta meno dolci e rassicuranti, privilegiando invece un approccio maggiormente fisico (pur rimanendo in ambito “ambient”) prediligendo la dissonanza, mai utilizzata in modo estrema per la verità. Ancora una volta un percorso in crescere che sembra arrestarsi a tre minuti dalla fine di questa seconda composizione. Il suono si asciuga per lasciare spazio, ai field e ad un pattern di piano elettrico, il cui “filtraggio” anticipa e accompagna il suono di un portone che va idealmente a chiudere il secondo capitolo, e l’opera tutta, dell’artista torinese.

Quello che viene fuori da questo interessante lavoro è tutta l’emotività e l’attaccamento dell’artista, ma innanzitutto dell’uomo, alla sua città e, soprattutto, a tutto quello che essa ha (ap)portato alla vita dello stesso. Ascolto interessante e suggestivo, consigliato!

Anacleto Vitolo