WITCHFIELD

Witchfield 2Thomas “Hand” Chaste, nato Andrea Vianelli, è celebre per essere stato il terzo batterista dei Death SS, storica metal band italiana, figurando nelle vesti del licantropo. Entrato nella formazione nel 1981, vi resterà fino al 1984, incidendo i primi due demo della band (The Horned God of the Witches e Demo II), nonché il primo EP, Evil Metal. Uscito dal gruppo, Thomas concentrerà la sua attenzione sui suoi progetti solisti, non senza altre collaborazioni con Paul Chain e Steve Sylvester. Attualmente, Andrea è impegnato con i Witchfield che, proprio quest’anno, hanno dato alle stampe Sabbatai Zevi (già recensito da Frastuoni!), secondo disco dopo Sleepless (2009), edito dalla Black Widow Records.

Ciao, Thomas. Benvenuto su Frastuoni!

Salve a voi e grazie per l’invito.

Mi racconti del progetto Witchfield?

Witchfield è un progetto che nasce in maniera un po’ anomala, nel senso che non è mai stato un vero gruppo, e in seguito lo è diventato ancora meno. L’incipit lo diede Giovanni Cardellino che, dopo l’uscita del mio album solista Uno Nessuno Centomila, disco tutt’altro che doom, mi contattò e mi propose una collaborazione. La cosa non mi dispiacque anche perché avevo diversi brani scritti proprio sul genere e forse era una buona occasione per riproporre un certo tipo di musica. Comunque, alla fine dell’album Sleepless, i Witchfield come erano nati già non esistevano più. Addirittura dovetti finire alcune parti di basso, in quanto Baka Bomb aveva abbandonato il progetto, un po’ perché non ci credeva (a torto, visto poi le recensioni) , un po’ per la “fatwa” messa in atto da Paul Chain: “Nessuno dei vecchi collaboratori doveva usare i nomi d’arte e buttare via il passato”, motivata da ragionamenti poco razionali e del tutto slegati dalla realtà. In ogni caso, quando Paolo ci si mette d’impegno ne convince parecchi e quella volta il risultato fu evidente. Inoltre, Cardellino, da Firenze, dove risiedeva in quel periodo, tornò in Puglia e quindi, nonostante l’intenzione iniziale di fare un album e proporlo dal vivo, si verificarono vari problemi legati alla distanza e, probabilmente, anche alle difficoltà di esecuzione o di resa dal vivo, in quanto, oltre alle chitarre di Cardellino e Piranha, ce n’erano altre registrate da me e, forse, non sarebbe stata un impresa facile per i chitarristi riproporle live. Alla fine, loro furono soddisfatti di aver lavorato con un ex Death SS, e io ne trassi il vantaggio di entrare in contatto con la Black Widow per poi proporre i nuovi lavori.

Parliamo del tuo ultimo lavoro, “Sabbatai Zevi”. È un album in puro stile doom, correggimi se sbaglio, che è un po’ il tuo marchio di fabbrica. Qual è la genesi del disco?

Il marchio di fabbrica è evidente e c’è anche una “linea di continuità anziché di contrapposizione fra le successive stagioni del rock”, mi permetto di dirlo perchè è stato scritto in una recensione e mi trovo pienamente d’accordo. Detto questo non saprei come catalogare questo lavoro, certo per comodità non sarebbe sbagliato dire che è un album doom, ma non c’è solo doom e non potrebbe essere altrimenti. Poi queste distinzioni solo aleatorie, e so che sei d’accordo su questo punto, servono solo per una nostra … diciamo … comodità. Ma più passa il tempo e più si aggiungono nuovi termini per descrivere una musica che è solo rock. Oggi siamo arrivati a decine di “sottospecie” e basta anche una minima variazione che già siamo in un altro genere … pazzesco …! Credo sia una “malattia” con poco senso, fra cinquant’anni chi verrà dopo di noi, probabilmente, non farà queste distinzione e ascolterà il tutto come genere rock, da Chuck Berry ai Neurosis. Riguardo alla genesi: questo disco nasce più o meno assieme a Sleepless e The Shining Darkness, dopo il lavoro “sperimentale” di Uno Nessuno Centomila mi è venuta la voglia di ritornare a certe sonorità e mi sono messo a scrivere e incidere diversi pezzi che mi riconducevano ai tempi dei Death SS ma, soprattutto al periodo PCVT, chiaramente ci ho aggiunto tutte le mie paranoie musicali e tutto sommato credo di aver raggiunto un buon risultato. La fortuna per me è che, non essendo legato a nessun tipo di bussiness, mi posso permettere di fare la musica che voglio, senza rincorrere nessuno, ma scavando dentro e sempre più in profondità, concentrarmi su quello che mi piace senza pregiudizi e senza pensare se sarà accettato o meno e lo farò ancora di più con i nuovi progetti a cui sto lavorando.

Che rapporto c’è tra quest’ultimo e “Sleepless”?

Come accennavo prima, il rapporto è strettissimo solo che nel primo il contesto umano era diverso: diversi esecutori, diverse esigenze. La storia era partita, appunto, come gruppo. La scelta dei brani allora fu fatta in funzione di questo, alcuni pezzi che poi sono finiti in Sabbatai Zevi e anche in Sancta Sanctorum erano già li a suo tempo. Scelsi brani che rendessero meglio in queste condizioni. Come lavoro d’insieme, sviluppammo la jam fatta per l’occasione e ne venne fuori The Mask Of The Demon; in sostanza Sleepless è “impaginato” diversamente ma fa parte di una stessa intenzione.

“Sabbatai Zevi” è una figura storica, un mistico del ‘600. E Thomas, come si relaziona con il misticismo?

Il concept dell’album prende spunto dal libro di Singer “Satana A Goray”. Sabbatai Zevi, nel racconto, è il messia che traghetterà la comunità ebraica di Goray nella terra promessa, ma alla fine si rivelerà una falsa promessa. Quello che ho voluto “descrivere” è la stupidità e l’ignoranza dell’uomo, sempre in cerca di un messia che possa sollevarlo dalla malattia del vivere: non è certo un esaltazione del mistico tutt’altro.

Witchfield 4Visti i tuoi trascorsi con una band “culto” come i Death SS, che faceva di temi come l’occulto e l’orrore una delle sue componenti base, qual è il tuo rapporto, in generale, con la religione?

È vero, facevo parte di una band molto “orientata” su certe tematiche, ma quello che più mi ha sempre colpito non è stato l’occulto, ma il rapporto che ha l’uomo con la morte: “Vizioso trascorre l’inganno che al nulla comunque conduce” (Vertigo: Romolo Scodavolpe), queste sono le prime frasi dell’album. Il mio rapporto con le religioni è solamente a livello conoscitivo e le vedo con sospetto, del resto dall’avvento del monoteismo ad oggi c’è sempre stato uno scontro di religioni e già questo mi sembra un paradosso. A questo punto sarebbe preferibile una civiltà politeista, come quella di cultura greco/romana, dove gli dei erano intercambiabili e un dio greco poteva essere conosciuto e adottato dai romani, magari modificandone il nome, senza attriti o esclusività perchè entrambi soddisfacevano l’esigenza umana di una risposta alla vita. Se poi esiste un Dio non saprei … ben venga. Io sono totalmente ateo, almeno per ora.

Ritorniamo per un momento ai gloriosi anni ’80. Per il metal erano anni d’oro e sottogeneri come il doom, il black, il death (anche se queste distinzioni lasciano il tempo che trovano) godevano di grande popolarità. Cosa ti piace ricordare di quel periodo?

Era un periodo fervido, pulsante, e non solo per il metal. C’era una ricerca del nuovo e dell’alternativo, che non ha nulla a che vedere con l’alternativo come lo conosciamo oggi, ed anche un coraggio di trasgredire che è andato perso. È stato un periodo in cui, per la prima volta, sono nate veramente realtà diverse fuori dal grande commercio. Sono nate le prime fanzine, poi alcune hanno continuato diventando mensili di tutto rispetto, case discografiche indipendenti che hanno dato modo a tanti gruppi di poter incidere su vinile la loro musica: tutte cose impensabili solo qualche anno prima. Nel libro di Robert Clark, “Province Del Rock’N’Roll”, si legge questa dichiarazione fatta a suo tempo dal cantante dei Gaz Nevada: “Ah, io vorrei far suonare e produrre un gruppo di Pesaro, solo che è impossibile, perchè nessuno vuole farlo suonare, si chiama Death SS e sono sconvolgenti perchè fanno una scena troppo pazzesca: non ho mai visto nulla di simile in Italia, e sono veramente terrificanti. Riescono a portare il cattivo gusto alle conseguenze più estreme e ci riescono cosi bene proprio perchè ci credono”. Questa è l’atmosfera che mi piace ricordare.

Hai militato con i Death SS dal 1981 al 1984. Sicuramente ci saranno molti aneddoti, storie, momenti particolari da raccontare … ce ne narri qualcuno?

Aneddoti, storie e avvenimenti particolari. Con i Death SS ci si potrebbero riempire pagine di questi avvenimenti, a volte anche molto strani … a mio avviso casuali o in qualche modo spiegabili. Comunque, tralasciando quelli avvolti di “mistero”, te ne racconto uno divertente: Nel 1984 fummo invitati alla trasmissione “Mister Fantasy” dalla RAI di Milano. La registrazione era per la mattina e noi decidemmo di partire la sera prima, tanto per far baldoria. Arrivammo davanti ai portoni di corso Sempione, in condizioni pietose, eravamo noi quattro più altri due ragazzi che impersonavano i boia. Cominciammo a tirare fuori dalle auto tutto il nostro armamentario, vestiti di scena, spade, pugnali, croci di varia foggia, teschi e lo facemmo con un casino pazzesco. In men che non si dica ci trovammo circondati da militari con mitragliette e pistole puntate addosso! Erano sbucati dal nulla … siamo rimasti a bocca aperta a guardarci in faccia per alcuni secondi … che cazzo stava succedendo? Poi un tenente si presentò e ci chiese chi diavolo eravamo. Dovemmo aspettare dieci minuti buoni con le mani in alto e sotto tiro prima che il tenente tornasse dalla segreteria della RAI dove si era accertato che era tutto in regola e si scusò anche, gran persona! Ci facemmo un mucchio di risate dopo … si dopo.

Quanto, i Death SS, hanno influenzato la scena metal italiana, e non? Forse il pubblico nostrano non era pronto il vostro stile “d’avanguardia”?

Non voglio stilare una classifica, ma quasi sicuramente i Death SS sono stati i primi, nell’ambito dark/metal (una classificazione l’avevamo data noi ed era “horror music”) ad uscire fuori dalla cantina grazie alla compilation Gathered, promossa da Rockerilla e portata avanti dal direttore Mario Rivera, primo esempio di rivista musicale che interagisce con i musicisti. Nella compilation, composta da gruppi come Not Moving, Dirty Actions, A Certion Radio … vado a memoria … tutti orientati verso un genere post punk/’77 o new wave, già consolidato in Inghilterra, venivano proposti questi Death SS che attingevano ispirazione sicuramente da un rock più “antico” ma come dice Renzo Stefanel su Rockit: “… Gli unici che si trovano ad essere “avanti” sono i più retrò, i metallari Death SS”. La prima spallata al pensiero vigente/musicale del periodo era stata data, si poteva fare musica di “bassa lega” ed essere comunque un gruppo d’avanguardia”. Questa può essere stata la maggiore influenza data dai Death SS: aprire un varco ad un genere che non era di “moda”, di tendenza ma che poi nel tempo riuscirà ad avere un suo meritato spazio. Questo per quanto riguarda l’influenza sul pensiero dell’epoca, musicalmente, parlando francamente, non ho visto e non vedo in altri soggetti una continuazione della musica che proponevamo, lo stesso Steve Silvester con i “nuovi” Death SS non ha dato prova di questa continuità che, guarda caso, troviamo nei suoi lavori solisti Free Man e Mad Messiah, come esiste nei lavori del Paul Chain Violet Theatre e di Paul Chain solista, e mi permetto di aggiungere anche dei T.HC. Witchfiel e Sancta Sanctorum. Alla domanda “se il pubblico non era pronto”, rispondo che il mondo musicale italiano non era pronto a questa nuova ondata di gente che usava per la prima volta la lingua inglese piuttosto che l’italiano. In realtà, due esempi c’erano già stati, i Trip di Vescovi e la P.F.M., i primi in quanto gruppo anglo/italiano e i secondi con l’uscita dell’album Photos Of Ghosts, operazione però commerciale per proporre internazionalmente il gruppo. Quindi, queste nuove proposte, questo nuovo proporsi con testi già “internazionali”, in Italia, vennero snobbati e non presi in considerazione da chi tirava i fili del mercato. Sia chiaro, questo handicap ha colpito tutte le band dell’epoca, alcune veramente meritevoli di avere visibilità e di dire la loro in musica. Un occasione sprecata per l’Italia che poi si è vista sorpassare da Germania, Svezia, Norvegia e anche dalla nazionalista Francia: un vero peccato per tutti.

Hai collaborato anche con i progetti solisti di Paul Chain e Steve Sylvester. Come sono i rapporti con gli ex-membri dei Death SS?

Con Paolo c’è sempre stata conflittualità, che a volte ha portato risultati positivi, altre volte ci ha proprio allontanato. Lui ha un modo di vedere le cose che spesso a me non torna, oltretutto, con il tempo si diventa sempre più intransigenti e, allora, sia da un punto di vista che dall’altro, non si ha più voglia di attriti e quindi meglio evitare. Una cosa mi sento di dire, e questo è un mio parere: Paul Chain è un genio allo stato grezzo, autodistruttivo e nichilista, attinente al pessimismo. Solo con la morte fisica del personaggio e non simulata, (gli auguro di campare altri cento anni sia chiaro!) si scoprirà veramente il suo valore perchè fino a che è vivo sarà lui stesso a demolire il suo lavoro. Con Stefano i rapporti sono più civili ed era così anche trentacinque anni fa. In ogni caso, ci si vede molto raramente e l’ultima occasione è stata la preparazione dei Sancta Sanctorum. Di lui posso dire che ha ricevuto meno di quello che ha speso, sicuramente meritava molto di più. I Death SS, ideologicamente parlando, sono la sua creatura e se sono riusciti ad avere una certa visibilità, è grazie a lui.

Witchfield 3E sui progetti Cane Mangia Cane, “Uno Nessuno E Centomila” e Sancta Santorum?

Sancta Sanctorum, senza dubbio, fa parte di una mia trilogia che comprende anche i due lavori di Witchfield. Dopo la partecipazione di Steve in Sleepless ci mettemmo d’accordo nel fare un album assieme. Gli feci sentire una quindicina di pezzi già finiti, ne scelse nove, il decimo, Black Sun lo portò lui. Doveva essere un album a due, ma poi volle aggiungere altri personaggi per dare l’idea del gruppo e venne fuori Sancta Sanctorum. Cane Mangia Cane è stato divertimento puro! Intorno al ’93 mi imbattei nell’ex chitarrista del gruppo punk riminese Dioxina, Luca Andreani, personaggio molto particolare. Ci trovammo subito e si decise di fare un po’ di musica: nacquero i Cane Mangia Cane. Da tre che eravamo, chitarra-basso-batteria, restammo presto in due, anche qui per problemi caratteriali, ma comunque si continuò sino alla pubblicazione del nostro primo e unico CD, Hate And Surf. Luca era molto prolifico, scriveva lui tutti i pezzi, testi inclusi: era un vulcano di idee. Ho ancora tanto materiale punk/power e ho un bel ricordo del periodo. Con Uno Nessuno Centomila ho intrapreso una via “sperimentale”, prendendo spunto dal futurismo: è un album particolare che sicuramente avrà un seguito; ho una certa idea sulla “modellazione del suono” che sto portando avanti, con tante difficoltà, ma con calma arriverò al bandolo della matassa.

Abbiamo finito. Un’ultima cosa: da dove trai ispirazione?

Credo nel bene o nel male di produrre una musica molto personale e riconoscibile, logicamente non si può essere immuni da ciò che si ascolta. Ascolto parecchio e non faccio distinzioni di nessun genere, ma francamente non saprei fare una “classifica”. Di sicuro non rincorro nessuno, anzi, tengo sempre a essere me stesso, anche perchè vengo da un epoca in cui le band le riconoscevi subito dopo quattro battute e ci terrei a mantenere questa differenza. Oggi, purtroppo, c’è troppa omologazione in tutti i generi.

Grazie da tutta la redazione di Frastuoni per averci dedicato un po’ del tuo tempo. A presto!

Gerry D’Amato