SPETTRI
"2973 – La Nemica Dei Ricordi"
(Black Widow, 2015)

SpettriCon piacere mi imbatto nel secondo full-lenght partorito da questa oscura band fiorentina, mirabilmente riscoperta dalla “storica” label genovese Black Widow. Formatisi nell’ormai lontano 1964, incisero dopo un paio di anni ben quattro 45 giri di stampo beat come Gli Spettri, passando attraverso vari cambi di formazione e all’alba dei seventies, oltre a disfarsi nel loro nome dell’articolo determinativo, in sintonia con il trend musicale dettato dall’epoca, virarono decisamente verso un sound caldo, tetro e corposo sospeso tra progressive e hard rock. Svolta che determinò nel 1971 la composizione del concept dal titolo omonimo, registrato live in “presa diretta” nell’anno seguente. I nastri caddero incredibilmente nel dimenticatoio, inediti per la bellezza di quasi quaranta anni, ma finalmente nel 2011, grazie all’acutezza dell’etichetta ligure, furono riesumati e dati alle stampe su supporto sia vinilico che digitale. Riscontri positivi ottenuti da critica specializzata, vendite e esibizioni live, non potevano che sconfinare nel legittimo coronamento della creazione di un secondo “disco concettuale”, continuum dell’iter esistenziale della figura già protagonista nel primo long playing; il transito attraverso la follia di un uomo, che come spunto per la propria rinascita interiore, intraprende, rapito da una nave fantasma, un lungo simbolico percorso in mare, laddove la nave è da interpretare come metafora della frequente caducità delle realtà umane, alla fine su tutto ciò catartica e trionfante si innalzerà la salvifica metamorfosi dello spirito. Registrato in analogico per suffragare il filo diretto dei nostri (Stefano Melani – tastiere, Raffaele Ponticiello – chitarre, Vincenzo Ponticiello – basso, Mauro Sarti – batteria, Matteo Biancalani – sax ed Ugo Ponticiello – voce, senza dimenticare “guest” come la vocalist Elisa Montaldo e l’arpista/armonicista Stefano Corsi) con gli anni ’70, 2973 – La Nemica Dei Ricordi, (edito sia su CD che LP) si dispiega in undici tracce articolate nell’arco di quasi 67 minuti, con le ultime tre (Il Lamento Dei Gabbiani, La Profezia e La Stiva) versioni mono di pezzi presenti altrove nel compact.

Un suggestivo rumore di onde marine, corredato da tuoni, rintocchi di campane e versi di gabbiani fa da prologo allo spettrale organo hammond e ai riff di chitarra sabbathiani, sui quali è brillantemente imperniata l’opening Il Lamento Dei Gabbiani; circa sei minuti di hard progressive rock rovente ed ispirato, catapultano di getto in seducenti, “polverose” e magiche atmosfere sonore made in seventies. Onde marine in sincronia con un malinconico pianoforte a mo di carillon fanno da apripista a La Nave, imperioso ed avvolgente spaccato di rock progressivo, corredato da inserti di sax e pregno di intriganti cambi di tempo. La Profezia, è un fascinoso itinerario sonico della durata di oltre sette minuti. Hammond organ, chitarra elettrica e sax si stagliano autorevolmente, offrendo sonorità sospese tra Deep Purple e ELP, ma poco prima del quarto minuto, l’imprevisto boato di un tuono infrange tutto ciò, lanciando soavemente il pezzo in una suggestiva e onirica dimensione sinfonica e barocca. Onda Di Fuoco mi porge un trend sonoro, le cui oscure e compatte “progressioni”, riportano un bel po’ a band come Atomic Rooster e Black Widow, mentre ne La Nemica Dei Ricordi fa prepotentemente capolino, il “fantasma” del Re Cremisi, in perfetta sincronia con quello (ancora una volta) dei Deep Purple; il tutto si scontra piacevolmente con l’eterea, estatica e celestiale atmosfera offerta dalle note del Delfino Bianco, affresco sonoro che ben si sposa con i soavi vocalizzi di Elisa Montaldo. Settima e penultima traccia (oltre alle suddette bonus) è La Stiva, nella quale riaffiorano prepotentemente le escursioni ritmiche e tastieristiche di stampo vintage, peculiarità del disco; preludio al romanticismo barocco sprigionato dalla dolce, nostalgica, sognante L’Approdo, radioso e bucolico atto finale di un album senza dubbio valido, ottimo pane per i denti di chi ama determinate sonorità.

Luciano De Crescenzo