MANSION
"Early Life"
(Degenerate Zine, 2015)

MansionEarly Life è senza dubbio un album potente e suggestivo. Chitarre decisamente aggressive ed esuberanti si inerpicano per le fosche strutture melodiche. La batteria come un’imponente mitragliera sembra aprire le danze ad ogni brano con l’imperativo: “Aprite il fuoco!”. Infatti “la prima infanzia” dei Mansion pare celare dietro la sua vitalità tutta la rabbia e il dolore che l’esistenza comporta. Un esempio lampante è Black Diamond dove le scariche sonore sembrano vere e proprie fucilazioni, come in Cell Phone o California Priest, che hanno come unico obiettivo l’ingenuità e la fragilità umana. Una vita tutt’altro che facile viste le impetuose onde sonore che trasudano da pezzi come Value e 100 Ib Crown, anche se quest’ultimo nella parte iniziale (solo pochi secondi in realtà) richiama alla memoria 100% dei Sonic Youth. Candace Lazarou con la sua potente e cavernosa voce ci conduce in un tumultuoso labirinto costruito dalla batteria di Jeff Cook e dalle chitarre di Adam Keith e Ronny Burke. Ci troviamo dall’altra parte dell’oceano negli Stati Uniti e come vuole un certo gusto propriamente nord-americano le sonorità noise invadono letteralmente l’intima struttura dell’album, fino a tesserne le maglie che lo costituiscono. Ma vi sono anche tracce in cui il sound segue un preciso sentiero fatto d’ombre e che sembra immergersi nelle profondità del sottosuolo, quasi a voler raccontare le oscure vicende d’anime travagliate e sentimenti strazianti e latenti, che esplodono poi con rabbia improvvisa. La band che si trova al suo secondo lavoro da una prova decisamente positiva, poiché riesce a fare della sperimentazione musicale un ottimo canale di diffusione delle tematiche affrontate e del proprio stile compositivo. La no wave e il noise sono così implementati dal lavoro di Jeff Cook che programma l’interazione tra elementi elettronici e elettrificati. In Two Kinds Of People il cantato è sostenuto da una base rimodulata che fa da controcanto, mentre le chitarre serpeggiano sostenute, fino a quando l’impeto della batteria non fa salire i toni degli strumenti e intensifica la velocità del brano. I cliché del genere vengono brillantemente eseguiti da un gruppo che pare sappia curare fin nei minimi dettagli la propria produzione artistica, senza lasciare nulla al caso.

Domenico Romano