HIFIKLUB VS FATSO JETSON
"Double Quartet Serie #01"
(Subsound, 2016)

All’epilogo dell’ormai remoto 1960, vide la luce Free Jazz: A Collective Improvisation, sesta fatica discografica di Ornette Coleman, padre del free jazz, partorita attraverso un criterio realizzativo rivoluzionario per gli standard musicali dell’epoca. L’album venne pubblicato esattamente nel settembre 1961, con l’esibizione di un doppio quartetto, uno inciso sul canale audio destro, l’altro sul sinistro; fu fondamentale per i liberi deragliamenti jazz degli anni a venire oltre che primo disco in assoluto a contenere una lunga jam session di quasi 38 minuti.
A distanza di oltre mezzo secolo, il connubio tra gli sperimentalisti transalpini Hifiklub e la stoner/blues band californiana Fatso Jetson, che si avvale per l’occasione anche della performance di Gary Arce, storica lead guitar degli Yawning Man, non fa altro che rinverdire concettualmente attraverso la release nel Coxinhell Studio, situato a Saint-Aygulf (nord della Francia), seppur con sfumature sonore diverse, la libertà artistica regalataci da Coleman & co.

Edito sia su compact disc che vinile a tiratura limitata, il percorso sonoro ci accompagna per quasi 38 minuti, dove nel canale audio sinistro abbiamo i rocker francesi, in quello destro la “desertica” band a stelle e strisce e nasce con le atmosfere rock suadenti ed incalzanti dell’opener Tenderloine Vignette, proseguendo negli ipnotici e stagnanti avanguardismi di Un Gribouillis De La Beauté, con il point break del disco rappresentato dal ritmato ed ispirato crescendo psichedelico sprigionato nei poco oltre 8 minuti di Glorious Whores, pezzo più lungo dell’album. Black Without White è un breve, suggestivo e paludoso intermezzo sperimentale, biglietto d’ingresso per le marziali, variegate ma perentorie vibrazioni stoner rock di Safe In Pieces, mentre i nostri esplorano soavemente sentieri krautrock nei poco oltre 3 minuti di A La Fin Je L’Espère Calme, degno apripista per l’ispirato ed avvolgente crocevia strumentale The Rocky Road To Holiness, suggestivo tracciato, avvincente atto finale di una delle migliori uscite discografiche di nicchia nell’anno trascorso.

Luciano De Crescenzo