HERON OBLIVION
"S/T"
(Sub Pop, 2016)

Supergruppo proveniente da San Francisco e composto da membri di Comets On Fire, Espers e Assemble Head In Sunburst Sound, gli Heron Oblivion si presentano più che altro come il risultato della chimica innescatasi tra i quattro membri della formazione durante una serie di improvvisazioni in studio che li convinsero a portare avanti una creatura figlia della scena kraut e psychedelic rock degli anni ’60 e ’70, tendenza molto sentita nel continente americano come si è già visto con progetti come Expo ’70. Ufficialmente presentatisi al pubblico come gruppo d’apertura ad un concerto dei The War On Drugs nel 2014, hanno poi inciso due suite entrambe risalenti al dicembre del 2015. La prima, presa da un live alla Fernwood Tavern in California, proponeva un sound decisamente sporco e tipicamente kraut che vive di lunghi assoli distorti, percussioni cadenzate e bassi corposi che rincorrono il tutto, tra psichedeliche pause ponderate e riprese del più possente tema centrale com’è prerogativa del genere. La seconda traccia è una jam session improvvisata della durata di 20 minuti, più ponderata e psichedelica rispetto alla precedente, respirando tra pennellate distorte di chitarra, bassi corposi e percussioni secche. Immancabili i wava-wava e lunghissimi assoli in reverse.

Nel marzo del 2016 la formazione esordisce con questa prima opera in studio sotto l’egida della veterana Sub Pop, un primo lavoro che punta su di una componente sonora più sensuale ed avvolgente rispetto al delirio fuzz/noise delle tracce che lo precedono, traendo in questo tutta la sua positiva forza espressiva ed il suo ben riuscito effetto macchina del tempo. Veri protagonisti dell’album sono le chitarre onnipresenti in fogge variegate e la dolce voce della batterista Meg Baird, così eterea e melodica da risultare colonna portante in molti versanti del disco. La intro di Beneath Field la vede infatti danzare assieme al wha wha, avvolti da dolci arpeggi melodici e sognanti ogni tanto scossi da ondate più dirette e sporche di suono, culminando in un intreccio di distorsioni ed assoli tipicamente psychedelic rock. La successiva Orion, che riprende la stessa composizione del live a Fernwood, viene qui riproposta in chiava più edulcorata ed ovviamente più corta, ma sempre in bilico tra chitarre fiammeggianti, bassi corposi, andamento ipnotico e psichedelico e voce quasi medievaleggiante. Sudden Lament, pezzo più classicamente psychedelic rock, vive sempre del brio chitarristico di sottofondo e della voce suadente della batterista, questa volta senza troppe distorsioni soniche di sorta e quindi molto apprezzabile melodicamente. Rama, traccia più lunga dell’album, riporta in auge il wha wha ponderato, la voce eterea e la ritmica in sordina per un’ipnosi lubrica ed avvolgente. Faro scuote l’ascoltatore con il suo tremolo e la solita voce dolce su geometrici groove di basso per un pezzo tra il garage rock e la psichedelia noise/fuzz di certi frangenti chitarristici. Seventeen Landscapes, pezzo felpato ed onirico, così come la conclusiva Your Hollows, continuano l’approccio 60’s melancolico e suadente di un lavoro che non disdegna qualche incursione più aggressiva nel suo procedere ondeggiante, chicca vintage di sicuro interesse per gli appassionati del genere.

Lorenzo Nobili