HERMETIC BROTHERHOOD OF LUX-OR
(Roma, 27 maggio 2018)

Hermetic Brootherhood Of Lux-Or sono il progetto storico di Mirko Santoru e Laura Dem all’interno del quale, nel tempo, sono transitati musicisti e collaboratori vari. Negli ultimi anni, alla sigla di Macomer si è interessata la stampa nazionale ed internazionale che li ha inseriti nel contingente della cosidetta Italian Occult Psychedelia. Ed effettivamente il loro ottimo LP Anacalypsis, uscito due anni fa su Boring Machines, è una personale e matura mistura di musiche ritualistiche ed ipnotica visionarietà. Il fatto di averli già visti esibirsi in precedenza nella loro terra d’origine non è stato per il sottoscritto un disincentivo per rinnovare l’esperienza in occasione della loro ultima esibizione romana. Anche perché Mirko e Laura sono due amici e agli amici, si sa, è dovuto tutto il supporto possibile. Il Fanfulla è un piccolo circolo ARCI, poco più che un baretto del Pigneto, altro quartiere della giovane movida capitolina, un localino piccolo ma intimo ed accogliente: luci basse, atmosfera rilassata. Lo spazio destinato all’esibizione è delimitato da tendaggi variopinti illuminati da luci al wood (che gli conferiscono un aspetto inequivocabilmente tardi ’60) ed arredato, VIVASATANA!, con divanoni da svacco totale. Lascio che termini lo sgangherato opening, borbottando tra me e me: “Non sono d’accordo, per niente d’accordo”, poi prendo posizione sprofondando in un morbido sofà blu. Mirko è alla voce, clarinetto, loop station e al suo teschio di cavalla con corde, Laura dal laptop pilota visuals, synth, campionatore digitale ed, anche lei, ha un teschio preparato oltreché un mollofono “made in Olla”. Il set parte con droni larghi e profondi per montare gradualmente di intensità. Come le immagini proiettate sul fondale, anche i suoni si stratificano in un crescendo cerimoniale nel quale le percussioni svolgono un ruolo centrale. L’abilità confermata anche in questa occasione da HBOL sembra consistere principalmente nella conciliazione di termini opposti: contemporaneità e primitivismo, ordine e caos, furor e sacralità, vette ed abissi. Al termine di 40 minuti di intensa performance elettroacustica ci si complimenta con i due artisti per una serata che di scarso ha registrato solo l’affluenza del pubblico (una trentina di partecipanti) e la sua dubbia motivazione-attenzione. Suonare a San Lorenzo o al Pigneto, a quanto pare, può comportare questo: un pubblico fatto anche di studenti di passaggio, aficionados del locale che son lì perché è il loro ritrovo, gente in cerca di un live qualsiasi non molto cosciente di cosa andrà a sentire (né, viene da dire, del perché). Ma in certi casi conviene non lasciarsi scoraggiare, son quartieri così ma capita sempre qualcuno che è capace di apprezzare, o per lo meno la speranza è l’ultima a morire. Toilet, come di rito: una, spoglia, piastrellata in rosso Belzebù, con presenza di diverse scritte degne di attenzione. Una, in particolare mi colpisce rendendo filosofica un’ordinaria pisciata post-concerto: “C’è una fine per tutto e per ogni fine c’è un nuovo inizio. La vita è un fottuto tunnel e alla fine del tunnel c’è la pace e la luce. (Lupo Rosso dell’Ovest)”. Alleluja fratelli e sorelle! Alleluja!

Gianluca Becuzzi