PETER PERRETT
“Humanworld”
(Domino, 2019)

Nel 2017 recensendo l’ottimo How The West Was Won (Domino) celebrammo il ritorno in studio e alla creatività di Peter Perrett, cantante/songwriter degli Only Ones, entrambi tra i soggetti più anomali della new wave britannica di fine anni ’70, fautori di un orgoglioso rock decadente senza tempo, carico di umori loureediani, ma primo di tutto prigioniero del prepotente inconfondibile carisma di Perrett. Se How The West Was Won aveva fatto penare non poco tempo per poter godere nuovamente di un rinnovato status artistico di un uomo liberatosi pare del tutto dalla scimmia della droga (non si dimentichi però – anzi si recuperi – il pur notevole Woke Up Sticky con gli One su Demon Records, 1996) il nuovo Humanworld invece, a soli due anni di distanza, è una straordinaria palpitante conferma di una rinascita ispirativo-musicale senza precedenti. Un ruolo di primaria importanza in questo piccolo miracolo lo hanno i due pargoli dell’artista, Jamie (chitarrista notevolissimo) e Peter Jr. Perrett (bassista), gli Strangefruit, già suoi efficaci partners in H.T.W.W.W., ma che in questo Humanworld approntano una simbiosi ed empatia strumentali con le composizioni del padre tali da poter assurgere senza problemi al ruolo di novelli Only Ones del terzo millennio. Non c’è davvero nulla da scartare in questo disco, che potrebbe essere tranquillamente uscito – quarto o quinto album degli Only Ones – nel 1981 o 1982. Il mood vocale-compositivo perennemente malato e febbricitante di Perrett (I Want Your Dreams, Once Is Enough, War Planed Red, Walking In Berlin, Believe In Nothing, Heavenly Day, Master Of Destruction etc.) abbatte, a sessant’anni superati, tutte le anguste colonne d’ercole temporali (anche se dovesse trattarsi del suo canto del cigno!), configurandolo quale vera e propria leggenda vivente del rock, da celebrare senza risparmio di energie mentre è ancora in balìa di una felice esplosione creativa.

Pasquale Boffoli