ZEROGROOVE / ALESSANDRO BOCCI
“The Urban Tape”
(Kaczynski, 2019)
The Urban Tape è il primo volume della serie di split-album su cassetta di una collana intitolata Kaczynski Tape Sessions, che l’ormai affermata e stimatissima etichetta toscana underground Kaczynski Editions dedica ad artisti in piena sintonia con la propria mission: fondere arte e musica in un’esperienza estetica di costante stimolo al cambiamento, senza compromessi.
Giocando su sinestesie, contaminazioni, frammenti e improvvisazioni, i due artisti coinvolti in questo nastro di 30 minuti – 15 minuti a testa per lato – sperimentano ciascuno col proprio sound per mappare territori inesplorati, intrecciando passato e futuro dai rottami del presente. Sul primo lato troviamo 4 tracce a nome ZeroGroove, aka Giuseppe Fantini, già chitarra e macchine nei progetti d’avanguardia Ranter’s Groove e Zero23: da un intro di vibranti texture elettroniche e minacciose distorsioni vocali da incubo distopico (Turn Me On) – a metà tra un ambient work di Aphex Twin intinto nel petrolio ed una base cut-up stile Death Grips o Crystal Castles al rallentatore – ci si perde disorientati fra i tracciati di gelide sincopi cardiache e ritmiche differenti in sovrapposizioni volutamente disarmoniche (No One Is Here), per approdare ad un gioco di improvvisazioni (Asesino) in cui una base samba minimal si sporca di riverberi metallici e sferraglianti grattate noise in un divertito pastiche che potrebbe quasi accompagnare una tela di Basquiat. Spicca la composizione forse più accessibile I Salvatori, brano in inglese in pieno stile trip-hop alla Tricky, il cui titolo italiano è dovuto all’inquietante sampling di un’intervista di Sergio Zavoli – storico autore della trasmissione RAI “La Notte Della Repubblica” sugli anni di piombo in Italia – all’ex terrorista Roberto Rosso – militante di Lotta Continua anni ’70 ed ideologo fondatore dell’organizzazione armata “Prima Linea” – la cui voce recita sullo sfondo: “Eravamo i salvatori e intendevamo portare valori validi in nome dei quali giudicare. Non ci accorgevamo che invece vivevamo in un mondo chiuso, irrazionale, isolato”: l’aspetto più dichiaratamente politico del lavoro di Fantini, e riferimento non certo puramente casuale al concetto di “rivoluzione assoluta” già centrale nella visione apocalittica e palingenetica di quel Theodore Kaczynski (il matematico terrorista americano “Unabomber”) che ha ispirato la stessa etichetta discografica. Sul lato B, Alessandro Bocci – componente degli storici Starfuckers – abbandona punk e garage per creare in 3 nuove tracce un paesaggio sonoro che spazia dall’industrial alla più cupa dubstep downtempo stile Burial. Gli echi spezzati dall’heavy editing di Open The Gate materializzano profondità 3d subacquee, caliginose, interstiziali, come un sonar addentratosi nel buio di profondità oceaniche, mentre l’isterica calma sussurrata fra aridi beat dubstep e taglienti radiofari in The Stairs o lo sporco e ossessivo refrain di Shake The Gate creano un’atmosfera dalla qualità distintamente cinematografica, notturna, sinistra, ipnotica.
Nel complesso, il concept dello split album in questo caso non sembra voler contrapporre due percorsi artistici quanto evidenziarne i tratti complementari: la capacità di tradurre in mood, vibes e spazi sonori frammenti di intuizioni, riflessioni e attimi di ispirata lucidità come scorci, barlumi inattesi, scomode torce puntate sulla realtà contemporanea, andando a comporre un ostico e dissonante patchwork musicale che ci si immagina come perfetta soundtrack per un’installazione artistica – inequivocabilmente urban – ispirata alle idiosincrasie, le psicosi e le false epifanie dell’uomo 3.0 in epoca post-industriale.
Livio Piantelli