SEAN O’HAGAN
“Radum Calls, Radum Calls”
(Drag City, 2019)
Il compositore, cantante, arrangiatore e multistrumentista irlandese Sean O’Hagan è senza dubbio a tutt’oggi – tra fine XX secolo e primi due decenni XXI – tra i più fedeli e rispettosi proseliti dell’estetica melodico-compositiva pop straordinariamente ricca messa a punto dal genio californiano Brian Wilson, soprattutto in album imprescindibili dei Beach Boys anni ‘60 come Pet Sounds (1966) e Smiley Smile (1967, apparso come Smile nella sua compiutezza solo nel 2004 a nome Brian Wilson). O’Hagan ne è un seguace talmente ostinato e dotato da aver tentato l’impresa di proporre una sorta di nuovo Smile-concept nel 1994 con l’album Gideon Gaye in compagnia del suo gruppo storico The High Llamas, di cui è da sempre il leader e deus ex-machina.
È con questa band (dopo aver militato nei Microdisney per tutti gli ’80) che negli ultimi ventotto anni ha concepito una decina di dischi in studio più alcuni EP tutti di alta (se non altissima) qualità compositiva, nei quali non solo si possono ritrovare – esaltate, sublimate, personalizzate con spiccata originalità – le intuizioni artistiche primarie di Brian Wilson, la sua tipica raffinata visione strumentale dal sapore a tratti infantile e disneyano (toy percussion, arpa, archi, spinetta, clavicembalo, horns …) ma si attinge a piene mani all’ottica ancor più stagionata – ma imperitura – squisitamente easy-listening del sommo Burt Bacharach, uno dei più grandi compositori pop del ‘900. Sean sguazza da sempre infine in un brodo di coltura piacevolmente e diffusamente “lounge”, la sua discografia ne è letteralmente inzuppata, colonne sonore comprese che ha scritto con Tim Gane degli Stereolab (preziosa band di riferimento) per due film del regista Marc Fitoussi: “La Vie D’Artiste” (2007) e “Copacabana” (2010).
Risale a tre anni fa l’ultimo lavoro degli High Llamas, Here Come The Rattling Trees (Drag City Records, 2016); questo Radum Calls, Radum Calls invece è il secondo lavoro solista di Sean O’Hagan, che in modo lapalissiano ripropone soprattutto attraverso ben cinque episodi strumentali (Better Lul Bear, Clearing House, Sancto Electrical, Radum Calls, Calling Sending) il suo innato sofisticato talento di compositore di soundtrack: ma a ben ascoltare l’intero disco, compresi gli altri sette episodi proposti con l’usuale nobile vocalismo gentile (duetti in tre occasioni con Cathal Coughlan, la vecchia compagna nei Microdisney), alla fine possiede le fattezze di una colonna sonora nonché di un concept, replicando una tipologia ormai seriale nella discografia dell’artista irlandese. Ad affascinare anche nel dipanarsi dei brani, ancora una volta, l’inconfondibile strumentazione “wilsoniana” su descritta (con un assiduo dialogo tra violini e gli altri colori timbrici), ormai una pelle più che coriacea per O’Hagan. Per chi avesse voglia di una rigenerante incursione in un contesto sonoro completamente avulso dal rock più ortodosso, dal pop più scontato, ma anche da nuove tendenze pretenziose e vuote, il contatto in Radum Calls, Radum Calls con sobrie epifanie ispirative melodiche come The Paykan (Laili’ Song), Spoken Gem, McCardle Brown, I Am Here (quasi disneyano), On A Lonely Day (Ding, Dong), Candy Clock, Take My Steps (Nora Bramms) è davvero un’occasione da non perdere, e magari recuperare le meraviglie passate incise con genialità mai invadente da Sean O’Hagan con o senza High Llamas.
Pasquale Boffoli