CINETECA MECCANICA
"Cinetica"
(Autoprodotto, 2015)

Cineteca MeccanicaA distanza di quattro anni dal loro primo disco Deviazioni, tornano più agguerriti di prima i milanesi Cineteca Meccanica, e questa volta facendo centro. Partono in quarta, senza freni e con il pieno di benzina, Davide “Kobra” De Santis e Alex Ruberto, i quali non hanno assolutamente cambiato idea su cosa dire e su come farlo, conficcandoci nel petto un disco che è un vero e proprio manifesto. I due manipolatori del suono, delle parole e delle emozioni, accompagnati, per l’occasione, dalla brillante chitarra di Marco Livecchi, creano un lavoro ispirato e personale, che li pone tra i massimi esponenti della nuova “elettronica iperrealista italiana”. Dieci composizioni che vanno ben oltre la semplice canzone, e si configurano come vere e proprie “suite” adrenaliniche, e che, grazie al cantato “contro” di Davide De Santis, si iniettano nelle nostre vene come brown grezza, nei nostri cuori come metanfetamina, nella nostra anima come mescalinina.

Dall’iniziale psychobilly androide di La Moda Del Burlesque, immersa in naftalina grazie a trasmutazioni metropolitane che ci sorprendono e scuotono. Le tastiere di Alex e la chitarra di Marco cadono e si scagliano su di noi come cocci di vissuto noir. Cantare “odio il burlesque … odio l’happy hour” significa mettersi oggi una città contro. Ma Cineteca Meccanica, quando si accende, lo fa senza freni e senza veli. Umori da Cramps futuristi aprono la sconcertante Sporco Nichilista, pezzo folle e stravolgente, che assale il nostro umore in maniera diretta e ossessiva. Kobra e Alex mitragliano ipersonici parole e suoni che ci trafiggono il cervello riportandoci nuovamente sull’attenti. Nessuna distrazione, nessun compromesso. La stupefacente Non Ritorno, accarezzata da un synth pop impertinente, un cut-up stratoesistenziale e iperemozionale, dove i suoni sono come immersi in un ghiacciato romanticismo che parte da una Terra che non c’è, per arrivare, in un attimo, in un cielo solo sognato. Davide diventa se stesso e si trasforma in poeta, regalando alla song la sua decadenza universale. Estate A Mano Armata ci assale come un pugno in faccia, Cineteca Meccanica accende il motore e si scaglia all’assalto, terroristi che creano colonne sonore per terroristi umani, quelli decantati da un Davide in “coma” musicale, un Alex in overdose da synth e drum machine, un Livecchi in lisergici amplessi chitarristici. Si salvi chi può. Più morfinica e perversa la successiva Non Ho Più Poesia, una canzone cadenzata su di un elettronica mistica e sensoriale. Vortici sonori dalle reminiscenze wave, davvero affascinante. Nella successiva Guerra D’Inverno (L’Odio), acida e sprezzante, la band ci trafigge con le sue sensazioni, che percepiamo, minuto dopo minuto, essere vere. Straordinaria la chitarra di Livecchi, assassina fino al crollo emotivo. Si prosegue senza sosta con Girotondo, dove volano come vento nella nebbia le tastiere di Alex che, transdeviate, accompagnano le parole-chiave: “resistere, resistere, resistere”. Arriviamo stravolti a Settembre Nero, che trasuda incessante un ritmo sincopato e schizoide, disturbato dalle chitarre lo-fi di Marco Livecchi che, se hanno giovato finora, in questo brano trovano il proprio zenit, immerso in un riff psycho-garage esaltante, che delinea magistralmente il “suono Cineteca”. Ci avviciniamo alla fine con Kolassa Giovane Boicotta (KGB), che, turbolenta e violenta, mette un punto fermo sul nuovo percorso intrapreso dalla band. Chiude l’avventura Bianca Primavera (Flux) brano sperimentale dal testo forte e visionario, che ci turba nel profondo.

L’instabilità mentale di Davide “Kobra” De Santis, la stabilità psicofisica di Alex Ruberto e la partecipazione disturbata di Marco Livecchi trovano in questo disco una sintesi e un’armonia perfette, confluendo come elettricità in cavo in un lavoro maturo, ispirato e originale, specchio fedele di una personalità forte e identificativa, che, partendo dalle verità più scomode, approda alle nostre anime nella maniera più diretta possibile. I Cineteca Meccanica sono immensi, perché, come pochi, fanno parte di quella schiera di “poeti del suono” in via di estinzione, che vedono ancora nella musica una forza capace di muovere la nostra mente e parlare della realtà come la cosa più sconcertante, stravolgendola come il più oscuro degli incubi … o il più bello dei sogni … “e allora, lasciamoli stare, a naufragare in questo mare, immenso senza terra e senza guerra … lasciamoli risalire questo mare, immersi in fiumi d’oppio, sperando non ci sia ritorno”.

Marco Pantaleone