Categoria: Ristampe e recuperi

STRAWBERRY FIELDS (A trip with Merrell Fankhauser)

MERRELL FANKHAUSER
“The Maui Album”
(Maui Music Recording, 1967)

Nel 1974 Merrell Wayne Fankhauser, Mary Lee (violinista e girlfriend), Jimmy Dillon (chitarra), Ollie Ignacio (basso), Steve Meese (piano) e Billy Berg (batteria), registrarono nell’arcipelago hawaiiano di Maui, The Maui Album, primo lavoro solista del songwriter del Kentucky. Lo spirito d’avventura che accompagnava l’ensemble aveva lo stesso “sense” delle community hippy post Summer of Love e post Woodstock, uno stile di vita ad ampio respiro con la natura, zenit lucente di utopistiche velleità. Il disco conteneva 11 brani, alcuni fra questi appartenenti al repertorio dei MU (band fondata da Fankhauser nel 1969) ma differenti dalle versioni originali, influenzati dai Byrds, dai Fairport Convention, dal folk-rock e dalla psichedelia, genere del quale a posteriori è stato considerato, specie dalla critica europea, una delle figure chiave; momenti arricchiti dal suono del mandolino, del bottleneck, della tenor guitar a 4 corde e del mellotron, un manufatto estatico-spirituale, pace e amore, in sintonia con il paesaggio che lo circondava. Merrell e il resto della Maui band continueranno a comporre privatamente fino al rientro del cantante/chitarrista negli States (California) a fine anni ’70. The Maui Album sarà oggetto di ristampa nel 1988 su LP (Reckless Records) e nel 1997 su CD (Subliminal Sounds Records con il titolo Maui) rispettivamente con l’aggiunta di 4 e 8 bonus tracks registrate con una nuova line up e diversa copertina.

Luca Sponzilli

 

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R.E.M.
“Up – 25th Anniversary Edition, 2023”
(Warner Bros Records, 1998)

Up è il primo album dei R.E.M. senza il batterista Bill Berry e quello che in un certo senso ripudia l’eredità del sound dei dischi precedenti. È dominato da tastiere, percussioni in sordina, chitarre sepolte, melodie nascoste e notturne. Solo il singolo Daysleeper trova il gruppo in un territorio sonoro familiare. Ciò che colpisce dell’album è che non appare come una nuova partenza drammatica dopo l’abbandono dello storico batterista. Anche senza il sound caratteristico delle chitarre di Peter Buck, suona come i R.E.M., anche se in questo frangente i R.E.M. cercano, a tratti, di essere più avventurosi e alla moda. In una certa misura questo è un bene, dal momento che dimostra che la band ha sviluppato un suono caratteristico più elastico di quanto molti avrebbero previsto e che sono abbastanza abili da correre dei rischi con il loro suono. E lo fanno con successo.

Up appare in definitiva un disco completo e sicuramente variegato. Il lavoro professionale di abili produttori di dischi. Ma è anche il risultato finale di uno sforzo difficile: per la prima volta sembra che i R.E.M. stiano cercando di recuperare e di mantenere intatto il loro status. Ci sono momenti in cui puntano a stupire l’ascoltatore come nell’inquietante apertura di Airportman, nell’oscura e seducente Suspicion o nell’indefinita You’re In The Air. Altri in cui rileggono la tradizione a loro modo come nel pastiche alla Brian Wilson di At My Most Beautiful o si muovono in territori più ordinari come nelle più familiari Lotus o Walk Unafraid. La maggior parte di Up, tuttavia, si colloca in una zona d’ombra estremamente instabile e lunatica proponendo canzoni, assolutamente ben realizzate, ma che non riescono a fare impressione o a farsi amare completamente perché non corrono abbastanza rischi.

E questo aspetto fondamentale, in definitiva, è ciò che distingue questa nuova incarnazione a tre dei R.E.M. Il secondo disco di questa nuova edizione, sorprendentemente, non contiene alcun demo. Un vero peccato visto che sarebbe stata un’occasione davvero interessante scoprire le prime incisioni datate 1997, quando Bill Berry era ancora un membro ufficiale del gruppo. Troviamo invece un concerto completo e inedito registrato durante la partecipazione alla serie TV “Party Of Five”, nel febbraio del 1999. Durante questa esibizione i R.E.M. avrebbero dovuto presentare una sola canzone ma finirono per suonare per un’ora intera. La registrazione dello show risulta piuttosto rilassata offrendoci l’istantanea di una band che ha finalmente ritrovato uno stato di tranquillità dopo un periodo difficile ed incerto e che si diverte a suonare, di fronte ad un pubblico di fan, nuove canzoni come Walk Unafraid, The Apologist e Parakeet o classici come Losing My Religion, Man On The Moon e una versione emozionante di Country Feedback che da sola vale l’acquisto.

Marco Galvagni

 

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X MAL DEUTSCHLAND
“Schwarze Welt” 7″
“Incubus Succubus” 12″
“Early Singles 1981-1982” LP/CD
(Sacred Bones Records, 2024)

I platter che vado a recensirvi interessano una delle più influenti/originali formazioni post punk degli ’80 legate alla prima corrente del dark. Le X Mal Deutschland, quintetto proveniente da Amburgo e nome di punta della 4AD, agli albori della loro carriera ,incidevano alcuni singoli caratterizzati da un climax teso e da toni epico-goticheggianti, per la piccola label indipendente ZickZack. La newyorkese Sacred Bones Records riprende, nello stesso diametro e veste grafica, due momenti fra i più significativi della band, vale a dire l’esordio Schwarze Welt / Großstadtindianer ed il successivo Incubus Succubus, arricchendo il re-editing di un’antologia dal (logico) titolo Early Singles 1981-1982 contenente le registrazioni del biennio e le inedite Kaellbermarsch e XMal Live Allein.

L’ensemble al femminile era composta da Anja Huwe (voce), Manuela Rickers (chitarra), Fiona Sangster (tastiere), Rita Simon (basso) e Caro May (batteria). Nel 1982 con la defezione dell’intera sezione ritmica Simon/May sostituite rispettivamente da Wolfgang Ellerbrock e Manuela Zwingmann ed il passaggio all’etichetta di Ivo Watts-Russell, lo stile diventerà più definito e meno irruento fino al pop di Devils, ultimo lavoro dell’ensemble, ed alle produzioni wave di Hugh Cornwell degli Stranglers (Matador).

Luca Sponzilli

 

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