ENNIO MAZZON
"Xuan"
(Nephogram / Ripples, 2013)

Ennio MazzonUscito ad ottobre 2013, come coproduzione Nephogram Editions e Ripple Records, Xuan è, a parere di chi scrive, una delle uscite più belle che l’elettroacustica e l’elettronica italiana in generale, abbia partorito negli ultimi anni. Autore di questo meraviglioso lavoro, Ennio Mazzon, classe ’85, membro del duo Zbeen in coppia con Gianluca Favaron (che ha fresco di pubblicazione un lavoro con manyfeetunder/concrete), creatore, oltre che della musica, anche del software con il quale questo (ed altri) pregevole disco è stato composto. Una singola traccia per, all’incirca, 42 minuti di musica, un continuum sonoro fatto di glitch, droni, melodie sommesse e rumorismi all’insegna di un minimalismo mai fine a se stesso ma molto ben architettato.

La partenza è noise puro, freddo, algido, matematico: disturbi, alte frequenze e glitch accolgono l’ascoltatore per poi placarsi dopo i primi 3 minuti di musica, in un crescendo che da una pulsione glitch lentamente si trasforma e si arricchisce di un tappeto che sembra “umanizzare” i sibili di una macchina in lenta evoluzione. Ed è qui che i suoni ambientali contribuiscono a trasformare e a rendere via via più materico e umano il suono, il mood di tutto il lavoro. Ciascun elemento sembra innestarsi quasi a singhiozzo. Apparentemente. In realtà tutto è perfettamente studiato e pensato per trasportare l’ascoltatore da un panorama sonoro all’altro, pur senza discostarsi troppo, e tradire, la matrice sonora che caratterizza l’intero artefatto in oggetto. Il nono minuto mostra un primo concreto barlume di luce. Una melodia appena accennata sotto la coltre glitch si scorge, regalando un attimo di quiete. Ancora una volta l’intermittenza. La melodia sembra assumere connotati più chiari rivelando e rendendo man mano sempre più intellegibile la chitarra che sembra emergere dai noise e dai suoni digitali i quali, solo apparentemente, tendono a sovrastarla. È straordinario come i suoni ambientali, i glitch, i droni e la chitarra si amalgano in maniera magistrale invertendo progressivamente ruoli e atmosfere in una sorta di contorcimento continuo. Una creatura vivente. È l’elettronica stessa a trasformarsi ed assumere via via un connotato sempre più umano, caldo, tradendo la natura e quella dei suoni stessi. Siamo ad un terzo esatto della composizione e un nuovo momento ci avvolge. I suoni lentamente ci preparano all’apertura centrale, a mio modesto parere, il momento migliore del disco. Il drone che accompagna e talvolta sovrasta i glitch, che faranno da traino per tutta la durata dell’album, disegna un paesaggio pacifico, metafisico, sognante, umano. Come se lo spirito si elevasse sopra le macchine in uno sforzo continuo e dirompente nel suo strappo liberatorio (min. 25) fino a sovrastarle. Il suono si fa immagine. Una luce abbagliante che copre, sovrasta il tutto per poi spegnersi e abbandonarsi nei file recordings che fanno da tramite al terzo atto di questa opera straordinaria. Quello in evoluzione sembra una sorta di scontro. Il left e il right si dividono rispettivamente il suono digitale del noise drone e quello dei suoni ambientali che sembrano avvolgersi e riavvolgersi su loro stessi come due corpi in moto alla ricerca di una sincronia, di un’armonia nei movimenti. Come fosse lo scopo di un’esistenza. Una pace restituita solo ad avvenuto ricongiungimento. Pace che lentamente, dolcemente viene raggiunta nella semi-stasi dei minuti 35-36. I suoni diventano sommessi e sussurrati. Ci sembra addirittura di scorgere qualcosa che ricorda un respiro, in mezzo ai suoni digitali in chiusura che tornano ad essere più freddi e digitali come in principio. Ma stavolta tutto sembra diverso. Sembra albergare una pace raggiunta ben lontana dal gelo dei primissimi minuti. Una pace quasi aliena. Un ultimo sussulto, un crescendo verso qualcosa. Il silenzio assordante degli ultimi 90 secondi di questo meraviglioso viaggio nell’animo umano.

Geniale. Meraviglioso.

Anacleto Vitolo