POLIO CLUB
"S/T"
(Autoprodotto, 2015)

Polio ClubBastano 8 songs e 22 minuti a Dmtri, Fletcher, Paloma e Nigel per disturbare il nostro udito con un affresco sonoro caratterizzato da un minimalismo che unisce post-punk, umori art-wave e pulsioni lo-fi. Arrivano dall’underground texano, esattamente da Austin, questi 4 ragazzi devoti ad un immaginario esistenzialista trasportato in note. Viscerali ed anticonformisti, dopo un demo datato settembre 2014, che già aveva messo in luce le doti compositive della band, arriva questo lavoro su cassetta, registrato nel giugno di quest’anno.

L’inizio è destinato alla scarna e melanconica Simple Man, un sound post-punk che riporta alla mente la band di Ian Curtis, cullata dalla voce cupa e profonda di Dmitri e enfatizzata da un utilizzo degli strumenti essenziale e coinvolgente, a volte appena accennato. Proseguiamo con i 2 minuti e 34 secondi di Mercury Retrograde, dove fa l’ingresso la voce di Paloma, nervosa e rassegnata, perfetta fusione con il suono degli strumenti di Fletcher e Nigel. Light As A Feather, un po’ Human Switchboard e un po’ Marta And The Muffin, ma anche Young Marble Giants, gradevole e spensierata, propone l’altra faccia della band, quella sixteen, perfettamente in sintonia con mood. Basta poco per ricadere, con il cantato sottotono di Dmitri, in labirinti di desolazione, grazie a Poison The Well, costruita su un giro degli strumenti proto-compulsivo, creatore di un ritmo monocorde capace di dipanarsi come un fluido nero nell’area. Chitarra, basso e batteria suonati come per una magistrale casualità. Così come la successiva Ubiquity, che propone una voce poetica, incatenata negli accenni di chitarra e batteria, gli strumenti che più di tutti emergono nel suono dei Polio Club. La voce di Paloma si fa ancora più dissonante in Tricky Witch, il battito è complusivo, gli strumenti suonati con una “bassa fedeltà” quasi “romantica”, un incrocio “diabolico” tra no wave americana e wave inglese. Bravi! Come un viaggio a ritroso nella musica tra fine ’70 e ’80, chiudono le distorte Eastern Medicine e Phases And Faces, oscura e ossessionante la prima, immersa in umori di alienazione metropolitana, e la seconda, decadente e visionaria, ma con un piglio retrò originale e gradevole, con tanto di chiusura con armonica.

Un album che colpisce, capace di unire, con spontaneità, suoni del passato e del presente, il tutto con un sapore, sia nei suoni che nella grafica di copertina, genialmente minimalista. Tra le nuove realtà dell’underground texano, da quest’anno, ci sono i Polio Club, ascoltare per credere.

Marco Pantaleone