TOM PORTA: PORTRAIT OF A ROCKER
Suoni e visioni di un outsider dell’arte contemporanea

Tom Porta 2LA MOSTRA: “THE BOX – BEAUTY OVERKILL”

È dicembre, e si sa, ogni volta che un anno volge al termine, in quasi tutti i settori, si “tirano le somme”, si propongono nomi e liste, si stilano classifiche. Anche nel mondo dell’arte è cosi. Parlo dell’arte che ha ancora qualcosa da dire, capace di scuotere dentro, dell’arte che affonda le sue radici nella materia e nella forza del gesto. Nell’arte “pura” che prende forma da un’idea e si svela ai nostri occhi grazie all’unione dell’ispirazione con la tecnica. Un’arte che produce energia, come la musica. Se quindi, noi di Frastuoni Magazine, un nome dobbiamo farlo, questo è quello di Tom Porta, affascinante rocker gitano, artista metropolitano dall’innata versatilità, guerriero cosmopolita capace di destreggiarsi al ritmo di rock tra un tela e un assolo di chitarra (ne possiede un’intera collezione). Perchè la musica rock, quella di Motorhead o di AC/DC per intenderci, ha sempre accompagnato, ieri come oggi, il percorso di vita di Tom.

Tom Porta 3Milanese DOC, già salito agli onori della critica grazie ad una serie di suggestive tele raffiguranti edifici “status symbol” mondiali (come la Torre Eiffel o la Statua Della Libertà) completamente distrutti da possibili attacchi bellici o, ancora, dall’ultima personale “Inferno”, realizzata nel mese di maggio, al Famedio del Cimitero Monumentale di Milano. Una serie di emblematiche opere immaginate per il centenario della Prima Guerra Mondiale. L’incontro tra me e Porta è quanto di più naturale possibile; la mia presenza all’inaugurazione, il 26 novembre a Milano, della sua personale “The BoX – Beauty Overkill” negli spazi della galleria d’arte Mario Giusti HD Headquarter, il contatto successivo via Facebook, l’idea dell’intervista nel suo art-loft. “The BoX”, la scatola, cranica?, la scatola intesa come contenitore?, loculo? (il perimetro della tela) dove sono dipinti i teschi che Tom, ha deciso di raffigurare per la sua esposizione. Teschi, sempre uguali ma sempre diversi, il modello è in realtà lo stesso ma, si configura, tela dopo tela, attraverso estetiche sempre differenti. Un’immagine forte, continuamente brandizzata con i marchi più POP della nostra contemporaneità. Girando per la galleria incrociamo icone e logo-miti riconoscibili ed immortali, come Facebook, Pink Floyd, Rolling Stones, Gustav Klimt, Batman e Robin, Superman, perfino Hello Kitty. Una galleria di crani affascinante quanto surreale, ma nello stesso tempo capace di trasmettere all’osservatore quel senso di vissuto che ce li fa avvertire come reali. Nei teschi di Tom c’è anche tutta la sua vita, la musica, i fumetti, l’arte, il disegno. Tom entra, attraverso la sua fantasia, vero leitmotiv che lo porta alla creazione, nel cuore del messaggio, e così, dopo un privo impatto visivo, che ha la forza di un’evocazione, basta un piccolo sforzo per capire, per intuire cosa si cela realmente dietro ogni teschio: la vita, il pensiero, l’idea.

In mostra fino al 16 di gennaio. Un’occasione unica per vedere le opere di un artista originale, mai scontato, viscerale quanto ironico, capace, con tutta naturalezza, di creare un’iconografia che invoglia ad interrogarci e a stimolarci.

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Da sinistra: Tom Porta, Marco Pantaleone

NELLO STUDIO CON TOM PORTA. L’INTERVISTA

Il profumo degli acrilici è forte ed intenso, le tele, le foto, gli oggetti. Tom mi accompagna negli angoli del suo studio e, come una guida preziosa e precisa, mi porta nel suo mondo, nella sua tana d’artista. Immerso tra le sue opere, grazie alle quali è possibile ripercorrere tutto il suo percorso artistico, il mio occhio cade sulle cose più svariate. Modellini della Marvel, fumetti, libri, cataloghi, sculture, teschi, riviste, armi, cavalletti, elmetti, modellini di aeroplani, biglietti di concerti, perfino il disco in vinile della sua vecchia band. Tutto a configurare un profilo ben preciso. Tutto mi parla di lui e della sua vita, delle sue passioni. Iniziamo a parlare di tante cose, il rapporto romantico che c’è tra un aereo da combattimento e il suo conducente o il certosino lavoro di recupero dei documenti indispensabile per il suo lavoro, come nella serie delle tele sui kamikaze giapponesi, foto, immagini, ricordi. Fino ad arrivare ad un catalogo di immagini, sembrano manifesti … ma non lo sono … ci sediamo comodi sul divano …

Tom Porta 5Che importanza hanno per te questi cataloghi?

Molta, in particolare modo gli artwork. Bellissime le immagini delle scatole di soldatini, alcune sembrano poster di film fatti da chissà quale illustratore americano degli anni ’50 o ’60. Esistono anche diverse scuole, come la scuola dei giapponesi, ad esempio. Belle anche le immagini di alcuni illustratori inglesi, uno ha fatto tutti i poster del Gran Premio di automobilismo, la tecnica usata è quella della tempera. Basta fermarsi e osservare nel dettaglio i particolari per accorgersi che hanno uno studio ben preciso, dalle forme alla luce. Ne sono sempre rimasto affascinato.

Hanno un’estetica romantica?

Si, sono opere che, chi ne fruisce, può vedere in esse tante cose, come nel Fockewulf tedesco, aereo della seconda guerra mondiale. Ho fotografato e dipinto aerei, per lo più militari, trovo abbiano un fascino unico.

Cos’altro ha influenzato il tuo modo di disegnare?

Una cosa che mi ha sempre affascinato, fin da bambino, sono stai i lavori di Basil Gogos, l’illustratore delle ultime copertine di Rob Zombie e di tutte le copertine di film horror degli anni ’60 e ’70, creatore perfino di una serie di francobolli negli Stati Uniti, con Bela Lugosi, Boris Karloff, tutti i vari attori dell’epoca. E da qui ho cominciato a disegnare, fin da bambino, perché vedevo tutte queste immagini e da li traevo l’ispirazione per disegnare. Disegnavo senza posa, mentre i miei prof parlavano, se fossi rimasto fermo ad ascoltarli, mi sarei addormentato.

Qual è il ricordo più bello che hai di tutti gli anni trascorsi all’istituto d’arte?

Sicuramente il rapporto che avevo con alcuni professori, come quello di progettazione o fotografia. Sono arrivato in istituto dopo due anni di liceo classico, ero più grande rispetto ai miei compagni di classe, a 16 anni, ricominciando dalla prima classe. Il bello della nuova realtà in cui mi trovai era l’ambiente, ma anche il metodo di studio, stile americano, il rapporto che avevamo con i docenti era molto libero. È in questo ambiente che si accresce la mia passione per la musica, in particolar modo il rock americano, come i Van Halen, arrivati al successo in Italia intorno ai primi anni ’80. È grazie a lui, che conosco la tecnica del “tapping”, suonare la chitarra posizionando entrambe le mani sul manico.

Tom Porta 6Quando hai preso in mano la prima chitarra?

Sono 36 anni che suono la chitarra. Cresco con i Kiss, grazie ad una folgorazione avuta a 12 anni, osservando una foto della band sulla copertina di un loro disco. Travestiti, truccati quasi da personaggi da fumetto, ma con una chitarra in mano. Dopo due anni, a 14, la mia prima chitarra classica. Un’emozione. Era il 1983, ho studiato e insegnato per diversi anni, appassionandomi allo strumento sempre più. All’epoca non esistevano vere e proprie scuole di chitarra che potessero avere un indirizzo moderno, c’erano una serie di insegnanti. È anche il periodo in cui mi sono realmente legato alla musica, ogni giorno era una nuova scoperta, c’erano tantissime band, uscivano tanti dischi, era un periodo magico. Il rock and roll era la mia vita.

Dove ti porta il rock and roll?

Era il 1989, e, decido di partire per l’America, ho studiato chitarra in California, ma poi la mia meta è stata New York. Il mio giorno arriva quando, leggendo un annuncio su Village Voice, decido di partecipare a un’audizione per il posto di chitarrista in una band. Sembrava una cosa seria. Risposi all’annuncio e andai all’audizione. Eravamo in 250, alla fine presero me ed un altro, Michael. È stato un ingaggio significativo, grazie al quale ho vissuto momenti importanti, girato l’America, conosciuto persone e personaggi e preso ancora più confidenza con il mio strumento. L’esito non e stato dei più belli, ma l’esperienza indimenticabile.

La musica buona, come l’arte, è una cosa che dura nel tempo o no?

Certo, quella buona. Penso al Grunge degli anni ’90, che tanto successo ha avuto. Io li odio, me li fulminerei tutti, Nirvana compresi. Sia il movimento che la band penso siano stati un grande bluff, a parte da quegli anni d’oro, ben poca cosa è rimasta. La tecnica è imprescindibile dalla creatività. I mostri sacri dell’hard rock sono ancora tutti lì. Quando si supera il test del tempo questo deve farci riflettere. Whitesnake, Motley Crue o Judas Priest, di cui ho visto il concerto di recente, l’età avanza, ma tanto di cappello. Anche nell’arte è così, penso a Velasquez e Caravaggio, perché il discorso della tecnica, anche se complesso, è semplice, è al servizio dell’espressione, avere la capacità di far bene una cosa.

Quando inizia il tuo percorso nel mondo dell’arte contemporanea?

Nel 1994, tornato in Italia, mi appassiono alla fotografia e pubblico un libro. Archiviato il mio vecchio lavoro, grazie al consiglio di un amica, inizio a dipingere degli oli in bianco e nero. Nascono le mie prime opere di lì a poco anche la mia prima personale. Ho i primi riscontri positivi e concentro tutta la mia creatività nel disegno e nella pittura. Capisco che è la mia strada, dipingo incessantemente, entro in contatto con galleristi e curatori. Inizia la mia grande avventura.

Tom Porta 7Quando sono arrivati successo e riconoscimento?

Dal 2003 in poi è un susseguirsi di esperienze positive. Il successo arriva con “Shinpu Tokkotai Project”, una straordinaria mostra ispirata dai kamikaze giapponesi. Ma il grande riscontro di critica è arrivato senza dubbio nel novembre del 2007 con la serie di grandi tele “La Nube Purpurea”, l’anno successivo con “Thunder Gods” e nel 2009 con “No Man’s Land”. Tele di grandi dimensioni, scenari apocalittici, città e monumenti distrutti da immaginarie catastrofi belliche, dalla madonnina che sovrasta il Duomo di Milano fino alla famigerata Statua Della Libertà a New York.

Quali artisti del passato ti piacciono?

Adoro Velasquez, ammiro Sorolla, mi affascinano le pennellate Boldini.

Come nascono la mostra “The BoX” ed il rapporto con Mario Giusti?

Era già da tempo che avevo in mente il desiderio di lavorare sull’immagine del teschio, ma proponendolo in una forma nuova e che comunque trasmettesse un concetto. Il teschio è il contenitore del pensiero. Il logo impresso diventa un marchio riconoscibile. Il rapporto con Mario Giusti e la sua galleria nasce in maniera spontanea, con lui ho un ottimo rapporto, è rimasto affascinato dalle mie tele, comprandole. Poi l’idea della personale. Lui è come se fosse il mio “produttore discografico”, con lui sviluppo concetti e idee. Ma cerco sempre di essere me stesso. Come diceva Frank Zappa “suoni quello che sei”.

L’arte di Porta e la raffigurazione della sua stessa vita, del suo pensiero e delle sue idee, chiaramente incapace di piegarsi a frivoli compromessi, un artista etico quanto inattaccabile, assordante, proprio come un assolo di chitarra. L’arte, come la musica, non è un gioco, deve scuoterci e portarci a riflettere, e Tom Porta non scherza, come solo i grandi artisti sanno immaginare, ci mette tutti davanti ad un possibile scenario futuro, perché quando arriverà la fine dei giorni, quella che ci stiamo costruendo con le nostre sporche mani, e crolleranno palazzi e stanze dei bottoni, nessuno avrà più nulla e resteremo a guardarci tutti attoniti. Ed e proprio lì che Tom ci aspetterà, al varco, al confine con la verità, quando nulla e niente potranno più aiutarci, bisbigliandoci a suon di rock … “ve l’avevo dipinto” …

4 dicembre 2015

Marco Pantaleone