WITCHING WAVES
"Crystal Cafe"
(Soft Power / Happy Happy Birthday To Me, 2016)

Witching WavesPuò un disco sublimare quel senso di isolamento e alienazione tipici della società contemporanea in cui viviamo? Certo. Basta scegliere quello giusto. Il secondo LP dei londinesi Witching Waves ci riesce. Lanciato a fine febbraio dalla Soft Power Records (Regno Unito) e dalla Happy Happy Birthday To Me (USA), Crystal Cafe è un prodotto collocabile a metà strada tra noise rock ed indie pop. Un album che vuole fare la guerra e spaccare il mondo, abbinando però anche momenti melodici. Emma Wigham suona la batteria e canta, un cantato da angelo della morte, ipnotico e straniante; le si affianca Mark Jasper, chitarra, cori e voce, anche la sua alienante e conturbante; infine il basso di Ed Shellard, le cui trame riescono a rendere l’atmosfera complessiva dell’LP ancora più lugubre.

La prima traccia è Twister, brano manifesto su un’urbanizzazione selvaggia che, così come ad Hackney, è uguale a se stessa in tutte le metropoli del pianeta. In Seeing Double c’è Jasper alla voce, la cifra è un lamento nervoso e irrequieto, le chitarre scaricano rabbia in tutte le direzioni ma le grida finali sembrano rimbalzare su un muro di gomma. Pitiless attacca con un fingerpicking irresistibile, accompagnando le litanie di Emma e i cori più baritoni di Mark. Dopo lo scherzo di Red Light Loop (un loop di un minuto e poco più), Make It Up è un pezzo brit dal tono apparentemente più accondiscendente ma che in realtà non fa altro che vomitare sulla retorica del politically correct. Il lato A si chiude con la strumentale Anemone, un ricamo meraviglioso tra basso incedente, scale isteriche e accordi distorti che ricordano le prime atmosfere Cure. The Threat è il pezzo più melodico dell’album, un giro facile facile in intro e un bridge con il cantato angosciato di Wigham. Un pezzo, anche questo, che oltre ad essere orecchiabilissimo, indaga sulle trasformazioni del tessuto urbano contemporaneo, che è un po’ il leit motiv del disco. Il mood di Red Light resta sull’indie pop, con Wigham qui più didascalica che iconoclasta. L’album si chiude con Receiver e con la struggente Inoa, di matrice sperimentale e quasi post rock. L’ultimo capitolo è Flowers, un tributo a Power, Corruption And Lies, sia per il suono che per quel senso di isolamento al quale non resta che opporre un buon disco.

I want to sleep in the flowers
I want to sleep in the love and the hours
I don’t miss it, I don’t miss it too much

Vincenzo Sori