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SAN LEO
"DOM"
(BleuAudio/È un brutto posto dove vivere/Brigadisco/DreaminGorilla/Vollmer Industries/Tafuzzy/Upwind Production, 2017)

Marco Tabellini e Marco Migani hanno creato qualcosa di incredibile, qualcosa che sfugge alla logica e che sembra venir fuori da un’epoca lontana. Attraverso l’impulso di dover girovagare per la stanza, fantasticando sull’ipotetica colonna sonora di qualche antica epopea, raccontandomi una storia, fatta di immagini e discorsi astratti, ho finalmente capito di essere di fronte a ciò che cercavo, musicalmente parlando. DOM ha un fascino oscuro, medievale. Lascia il sapore di guerre con demoni interiori e di sangue versato sul campo di battaglia. Legioni bianche contro legioni nere, in una sorta di uroboro con la coda sostituita da uno specchio.

SAN LEO è un duo riminese, composto, come detto, da Marco Tabellini, alla chitarra, e Marco Migani, alla batteria, attivo da circa quattro anni. Esoterismo, alchimia, la forza primordiale degli elementi naturali, sono le fonti di ispirazione della band, per un sound che spazia tra la psichedelia, spasmi prog, e più di un acuto che potrei definire medieval post-rock, chissà. L’Antico Monile Era Custodito All’Interno Della Tempesta Di Sabbia, A Causa Del Suo Fascino Molti Non Avevano Fatto Ritorno è l’equivalente di un assalto ad una fortezza. L’impeto, il coraggio, l’onore, la paura, la furia degli eserciti e quella degli elementi, attimi fugaci di quiete, esplodono all’unisono, in un viaggio di meravigliosa contemplazione. Riportati Alla Vita Dal Freddo Severo Dell’Alba, Si Risvegliarono Nella Distesa Di Erba Inaridita; Un Incendio Di Colori In Cielo, I Palmi Delle Loro Mani Aperti In Un Gesto Di Totale Determinazione è sicuramente la traccia più “pesante” delle quattro. La battaglia è finita, la notte è trascorsa e i guerrieri si risvegliano alle prime luci dell’alba. Il Tuffo Nell’Acqua Gelida E Giù Attraverso Filamenti Di Luce Liquida, Affondando Nelle Tortuosità Di Un Antico Tormento e il dolore provocato dalle ferite che non lascia tregua. Toglie l’elmo, depone la spada, si spoglia dell’armatura. Poi, si bagna il viso, i polsi, pulisce quel taglio sul ventre e chiude gli occhi, poggiandosi sul morbido prato. Intrappolato In Un Sogno Ricorrente, Percorrendo L’Oscuro Corridoio Su un Tappeto Di Ossa, Richiamato Da Echi Di Voci Lontane il cavaliere segue la luce. I suoi compagni lo seppelliranno con la sua spada.

Gerry D’Amato.

MAKHNO
"The Third Season"
(Brigadisco / Neon Paralleli / Bloody Sound Fucktory / Hysm? / Il Verso Del Cinghiale / Only Fucking Noise / Villa Inferno / Xego / Wallace, 2015)

MakhnoCi sono dei nomi che viaggiano negli anni in una sorta di dimensione parallela, insensibile alle tendenze, alle scene, estranei ai concetti di successo, declino e stasi. Nomi alimentati dal solo fuoco della passione, in essi ed in chi li segue, nomi su cui, in somma, si può fare sicuro affidamento, a prescindere da episodi felici o momenti più intelocutori. Incipit perfettamente adatto, ovviamente, al lavoro su cui spenderemo le nostre parole, lavoro dietro al quale c’è un leggendario uomo solo al comando, da più di 30 anni sulle scene, membro fondatore di band quali Tasaday, Afterhours, Six Minute War Madness, A Short Apnea, Uncode Duello. Parliamo di Paolo Cantù e del suo nuovo lavoro a nome Makhno, The Third Season. L’approccio è violento, e The Book Of The Year è il biglietto da visita; gran pezzo potente ed acido, percussioni dal sapore ferroso ed epiche declamazioni annegate in mari di feedback. Si prosegue con sonorità postindustriali ed un costante senso di angoscia epica, al centro della preparazione alla battaglia di Per Non Mai Dimenticarmi, trascinata in ettolitri di strida metallici fino alla fine, in attesa di una deflagrazione che non avverrà. L’orgia rumorista di I Dreamed I Saw Mark P Last Night vive di chitarre acide e vocalizzi infernali, mentre la voce di Federico Ciappini, gà nei Six Minute War Madness al fianco di Cantù, apporta una linea narrativa angosciante alla successiva Avevo Cose Da Dire, che procede precisa come un treno d’altri tempi, poderoso ma lento, pezzo che attacca il cervello ma finisce per agitare lo stomaco. Probabilmente l’apice del disco. Si tira un po’ il fiato, compreso l’interessante episodio di ambient noise di Nobody Knows You When You’re Down And Out, per tornare in pieno territorio acido con la fine del disco, che si chiude con la lunga jam Cerambice ancora col supporto alla voce di Ciappini.

Il disco, ma nessuno si aspettava il contrario, non è certo catalogabile come di facile ascolto, e, a parte qualche episodio più immediato, The Book Of The Year e Avevo Cose Da Dire su tutti, merita una trasposizione live ed una empatia sonora che siamo certi sarà naturale. Sperimenteremo, per ora lunga vita a Cantù!

Luigi D’Acunto

THE SHIPWRECK BAG SHOW
"Don Kixote"
(Brigadisco / Phonometak Laboratories / Wallace, 2014)

Shipwreck Bag ShowCitando Kafka: “Non vi farete alcuna immagine – …”

The Shipwreck Bag Show è il duo chitarra e batteria composto da Xabier Iriondo e Roberto Bertacchini impegnato dal 2006, data di esordio del loro omonimo mini album. Percorso che ha visto il duo sperimentare varie forme sonore. Don Kixote è l’ultimo lavoro dei Shipwreck Bag Show, album composto da 11 tracce che scorrono velocemente come un lungo urlo inverosimile, una sorta di attacco spasmodico alla giugulare, quasi a celebrare una bizzarra e schizoide trasposizione cartoonesca del celebre romanzo di Cervantes. L’eclettismo e la varietà sono da sempre state caratteristiche del duo sin dai primi lavori, mantenendo uno scheletro ritmico dei brani dove il tutto suona sporco ma smacchiabile dal controverso sound pungente easy clean, creando un bilanciamento univoco. Don Kixote è un album ossessionato prima ancora che ossessivo, un viaggio eclettico e destrutturato tra le pagine di Cervantes, un luogo non-luogo di scariche adrenaliniche, tonfi emotivi, disastri esistenziali, devastanti impeti corporali e psichici, dove solo una mente senza preconcetti ed avventurosa può immaginare di rivivere l’esperienza del folle cavaliere errante di Cervantes. È il gioco del chiaroscuro applicato all’anima che, anche nel peggiore dei casi, ha sempre obliqui bagliori che ne elogiano una grandezza magari insospettabile, mai del tutto trascurabile. Don Kixote è un album che va ascoltato con le dovute precauzioni all’uso e si raccomanda di non farne alcun abuso.

Daniele Carcavallo