Strawberry Fields – Volume 4
A Trip with the …

STRAY
“Suicide”
(Transatlantic Records, 1971)

Provenienti da Londra, gli Stray sono stati, per capacità compositive, fra le migliori formazioni dell’underground inglese di fine anni ’60 e di quel filone anarco-hippies sorto sulle ali del successo di gruppi come Deviants, Pink Fairies, Thin Lizzy, Hawkwind o del catalogo Vertigo. Dopo l’omonimo esordio del 1970 e la partecipazione ai più importanti festival e free-festival europei, Steve Gadd (voce, hand percussion, bells) Del Bromham (chitarre 6 e 12 corde, mellotron, organo, piano elettrico, arpicordo), Gary Giles (basso) e Richie Cole (batteria, percussioni) l’anno seguente pubblicavano il sequel Suicide, ottimo esempio di rock psichedelico con influenze hard/blues.

L’iniziale antimilitarista Son Of The Father (“… è andato via per combattere la guerra ma non per difendere i suoi diritti / gli è stato detto di farlo quindi andrà a combattere”) e Jericho, sature di fuzz e coagule di wah-wah, i momenti migliori fra gli 8 di cui constava l’eccellente album dalla stimolante analisi critica. Le hendrixiane Nature’s Way e Suicide, memori di Foxy Lady e Stone Free, con il garage-beat o pop à la Beatles rispettivamente di Run Mister Run (brano dai riff taglienti) e Where Do Our Children Belong, i raga byrdsiani di I See You In Do You Miss Me? ed il folk progressive filo-Canterbury di Dearest Eloise completavano i caleidoscopici solchi del disco.

Sebbene la band confermava il proprio talento e di essere una realtà dal vivo, condividendo il palco con Black Sabbath, Status Quo e Ten Years After, il successo commerciale non fu esaltante poiché i budget limitati della piccola etichetta Transatlantic non garantirono il meritevole lavoro di promozione. Meno interessante risultò il terzo album con il gruppo recintato in una fase troppo ripetitiva lontana dai mesmerici esordi.

Luca Sponzilli

 

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