THE PALE FLOWERS
"S/T"
(Autoprodotto, 2013)

Pale FlowersEssere di nuovo alle prese con una notevole proposta, tra le altre cose consegnata a mano direttamente davanti alla porta di casa da uno dei membri della band, partorita da una frazioncina del salernitano che conta all’incirca 400 abitanti non è cosa da poco. Pare proprio che da quelle parti si stia concentrando una vena compositiva di ispirazione punk dalla giusta attitudine. Questi The Pale Flowers nascono nel 2013, sono composti da Nick Veleno (basso e voce), Dagger (chitarra) e Joe Mitraglia (batteria e voce) e si definiscono un gruppo punk. Tempo qualche mese e la band tira fuori dal cilindro 10 brani originali immediatamente compilati su questo loro omonimo album di debutto alla cui stesura ha partecipato attivamente anche Ferdinando Farro, voce e chitarra di una band (Maybe I’m) di cui abbiamo già tessuto le lodi il mese scorso, registrando, mixando e masterizzando il tutto oltre a prestarne la voce in un brano. La copertina del CD, dal formato fuori standard, qualche indizio sui contenuti lo da con quel suo cuore “floreale” dall’aspetto vagamente sinistro bordato da una cornice dai ricami tribali e orientaleggianti che richiamano anche i disegni che spesso si trovano in bella mostra sui foulard, sui gilet, sugli stivali o anche sulle casacche dei cowboys.

Ma veniamo alla musica. Il disco fa subito presa e travolge fin dalle prime note grazie al dimenarsi delle tracce tra ritmiche incalzanti ed incisive, sferrate da una chitarra a tratti tagliente, e coinvolgenti melodie, a volte “sciamaniche”, dai richiami indie/wave. Brani ficcanti, essenziali e senza fronzoli che, vista anche la loro esigua durata, non si perdono in futili divagazioni ma arrivano dritto al punto. L’album guarda all’America toccandone svariati stili fino a punte remote quali il country e il folk d’annata shakerandoli a decise sonorità indie/wave spesso di matrice anglosassone. Una nota caratteristica è anche la voce di Nick che per quanto non ancora ben messa a fuoco, risulta variegata ed intrigante nella sua decisa propensione ad osare. I richiami che evoca il disco a stili o band, se pur sfuggenti, sono molteplici a partire dai vaghi accenni Husker Du nei nervosi assalti chitarristici “indie/core” di Dreaming You e Looking For A Sign, alla tipica inquietudine Wipers in Cemetery, a richiami Interpol e Giant Sand rispettivamente nelle ballate, “neo-wave” di Bad Reaction e Nothing, garage-folk di Far Away o country “favolistica” di Slaves e Happy I Walk My Way che a tratti portano alla memoria anche Dream Syndicate e Gun Club.

La band sembra masticare musica da tempo mostrando una notevole abilità nell’arte dell’arrangiamento. Un pizzico di sporcizia in più nei suoni ed un’aggiustatina alla voce potrebbero dotare i nostri di quella marcia in più verso un traguardo significativo, perchè no, anche sotto il profilo commerciale. Per il momento, trattandosi di un esordio, tanto di cappello!

Salvatore Lobosco