SPRINTS
“Letter To Self”
(City Slang Records, 2024)

La corrente del post-punk, nata dalle ceneri del ’77 con il quale a posteri manteneva un legale nell’attitudine e nella sfrontatezza ma non altrettanto nel tipo di sonorità proposte, va confinata tra il ’78 e l’81 quando a farla breve band come i primi Joy Division, i PIL, Killing Joke, i Fall in maniera molto più eclettica (del punk) sperimentavano nuove soluzioni musicali evolutesi ulteriormente nel corso degli anni ’80. I decenni seguenti hanno avuto diverse formazioni inquadrabili nel vasto filone del genere e nei primi ‘,90 si arrivò a parlare addirittura di “new wave of the new wave”. Di recente, l’isola di smeraldo, specie dopo i successi/consensi ottenuti da Murder Capital, Just Mustard e specialmente Fontaines D.C., sta vivendo un momento prolifico, e talentuoso, con tanta ottima musica.

Ultimi in ordine cronologico gli Sprints, quartetto proveniente da Dublino composto da Karla Chubb (voce/chitarra), Colm O’Reilly (chitarra), Sam McCann (basso) e Jack Callan (batteria), autori di un energico rock dai chiari riferimenti “revival”. Il debut-biz Letter To Self, licenziato dalla City Slang (Cell/Sebadoh/Tortoise), contiene 11 canzoni dal forte impatto sonoro, intense e dai testi significativi, influenzate dalle tensioni vocali siouxsiane (Cathedral), dal noise dei Pixies, da PJ Harvey (Ticking), da Amyl And The Sniffers (Adore, Adore, Adore, Up And Corner), dagli Wire (Can’t Get Enough Of It) e dal virtuoso/granitico chitarrismo in chiave Seattle/Washington (capiamoci bene, ai tempi di Bleach e Ultramega OK non si parlava affatto di grunge ma del suono di Seattle). Un deja-vu, ma cosa non lo è di questi tempi, dalla forte personalità, Letter To Self si colloca fra i migliori ascolti del “new rock”, definizione di circostanza poiché gli stessi, come altri ben più illustri colleghi, rifiutano etichette di comodo, e tra i dischi da non perdere assolutamente se vi è rimasto un po’ di giudizio.

Luca Sponzilli

 

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