BUCK BILOXI AND THE FUCKS
"Culture Demanufacturer"
(Total Punk, 2014)

Buck Biloxi And The FucksBuck Biloxi è uno dei personaggi più chiacchierati dell’ultimo anno nella scena “sotterranea” punk americana. Le sue proposte, sempre di egregia fattura, soprattutto se nel breve formato, vanno però letteralmente scavate tra le svariate sigle sotto le quali il nostro si è divertito a nascondersi (Giorgio Murderer, Luther Van Gross, Robert Watson Craig III). Di lui al momento si sa solo che proviene da New Orleans e che nutre, a quanto pare, una forte passione per la nota serie televisiva di fantascienza “Star Trek” visti i continui richiami sparsi sulle copertine e sugli inserti dei suoi dischi. I Buck Biloxi And The Fucks, a parte alcuni split, hanno prodotto due singoli, il primo nel 2012, l’altro nel 2013, anno in cui esce anche il loro primo album omonimo. Holodeck Survivor (chi ha un po’ di dimestichezza con “Star Treck” sa di cosa stiamo parlando), il secondo dei due 7”, a mio modesto avviso, uno dei pezzi più belli del 2013, ha preceduto questo Culture Demanufacturer, unica produzione della band targata 2014 (ottobre). L’inserto presente al suo interno elenca, Lindsay Fuckingham, Fuck Rogers, Derek Fucks, Scrooge McFuck, Fucky Luciano, DJ Dick Dungeons and Butt Dragons e Patrick Dyer quali membri dei Fucks. Non aggiungo altro se non che l’ultimo della lista esiste davvero ed ha spesso accompagnato il nostro per concerti. 14 brani porterebbero a pensare ad un album ma anche questa volta l’apparenza inganna, il disco è un 45 giri e nessuna traccia supera i 2 minuti per un totale di poco meno che 20 in cui viene letteralmente saccheggiata l’antologia del punk ben metabolizzando le lezioni di mostri sacri quali Buzzcocks, Drones e Avengers, e vomitandole sotto una veste cantautorale ed “intimista” in pieno stile Dan Melchior. I testi sono una vera spina nel fianco della “cultura” imperante saturi di rivoltevoli rifiuti degli stereotipi: “La gente pensa che sono un pezzo di merda. Tutti hanno avuto una moglie e dei bambini. Tutti hanno avuto un qualche tipo di lavoro. Io no, io vivo come un cane.” Solo una cover questa volta, I’m Useless dei Queers, che chiude il disco in modo magistrale. Questi 14 brividi nervosi scanditi dai colpi secchi di una sezione ritmica ridotta all’osso fanno di Culture Demanufacturer uno degli album punk più belli ascoltati negli ultimi tempi e di Buck oramai un faro per la scena. Un’ultima cosa: i suoi dischi vanno acquistati immediatamente, hanno la capacità di sparire in un niente con remote possibilità di poterne poi trovare qualche copia in giro, rete compresa. Affrettatevi!

Salvatore Lobosco