MONEY
"Suicide Songs"
(Bella Union, 2016)

MoneyNon un disco, questo dei Money, ma dolce veleno che scivola giù in gola, strappa il cuore e va a cullarsi nelle viscere aspettando – subdolo – che l’orecchio cada nel suo stupendo acquitrino malinconico. Attenzione, niente svenamenti, come si potrebbe pensare dal titolo, ma una matassa di armonie agre e solitarie, che gli inglesi Money distribuiscono abilmente nelle nove tracce portanti di Suicide Songs, una piccola goduria dei sensi. Colori offuscati e occhi bassi per un ascolto prettamente mid-hi fi; chitarra, voce sottomessa e tasti di pianoforte per dare un tocco riflessivo ad una direzione compositiva altamente personale, fatta di ricordi e amarezze che comunque alzano la testa e guardano avanti.

L’intimità è cosa concettuale nei solchi di questo disco, e la band di Manchester non la nasconde, anzi, ne fa intenzione poetica al cubo, e quello che ne guadagna è una deliziosa estetica friabile e delicata, che porta quasi ad aver paura di alzare il volume, pur di non screziarla. Tra echi di Kula Shaker in I Am The Lord, I’m not Here e Night Came, svolazzi Verve nella titletrack, in Hopeless World e in All My Life, l’hype sale in verticale fintanto che l’ascolto raggiunge un suo particolarissimo limbo trasversale in A Cocaine Christmas An Alcoholic’s New Year. Poi è tutto uno stalking al tasto repeat.

Max Sannella