POST POST POST
Ha ancora senso parlare di post punk oggi?

Nel 2005, Simon Reynolds, uno dei critici contemporanei più noti e accreditati del panorama musicale internazionale, pubblica “Rip It Up And Start Again – Post Punk 1978-1984”, edito in Italia l’anno successivo da ISBN con il titolo abbreviato in “Post Punk 1978-1984”. Organizzato per scene cittadine e contesti nazionali (prevalentemente si tratta di Gran Bretagna e Stati Uniti), il ponderoso saggio di Reynolds, scandaglia sapientemente l’eterogeneo panorama del dopo-punk a partire da un postulato tanto limpido quanto decisivo. Il termine post punk, sostiene l’autore, non può indicare un genere musicale ma, piuttosto, un’epoca straordinariamente vivace e creativa della musica pop, precisamente quella che, a partire dal 1978, fece seguito alla prima ondata punk e che poi, per tutta una serie di ragioni contingenti, si concluse nel 1984. Al termine new wave, frequentemente utilizzato per definire pressapoco lo stesso ambito, Reynolds preferisce post punk, in quanto più funzionale a descrivere un periodo storico circoscritto e non un’estetica musicale, una generazione di artisti/band assai assortita, piuttosto che una cifra stilistica identificabile come unitaria.

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Factory Floor

Sempre secondo Reynolds, l’atto simbolico che segna il passaggio dal punk al post punk, lo compie Johnny Rotten, abbandonando Sex Pistols e nome di battaglia, per ridefinire la propria identità in Lydon con i Public Image Ltd., la sua nuova arma puntata al cuore dello show-biz. Il loro debut-album del 1978, First Issue, da l’avvio ad una “new golden age” della pop music, costellata di tanti personaggi, sigle, idee e suoni tra loro diversi. Così, da una parte all’altra dell’Atlantico, per sette intensissimi anni, si respira un’aria di grande fermento artistico, coraggio e volontà di rinnovamento. Una frenesia estetica che, forse, solo chi ha vissuto l’esperienza in prima persona può comprendere davvero fino in fondo. Sotto il largo ombrello epocale del dopo-punk Reynolds include tutti gli stili distintivi/innovativi dell’epoca (compresi ska e industrial) per poi stabilire come, giunti al 1984, il mutato clima socio-culturale, unitamente alla volontà di assecondare il mercato mostrata da molte prime mover post punk, abbia decretato la fine di quel fortunato periodo musicale. All’autore di “Rip It Up And Start Again” si potrebbe obiettare che la sua ricostruzione dei fatti contiene delle inesattezze, dal momento che, nel saggio, vengono classificate nel “post” formazioni inglesi come Wire, Ultravox e Stranglers, contemporanee alla prima ondata punk, o realtà statunitensi, come Suicide, Pere Ubu, Devo e Residents, addirittura preesistenti al punk stesso. Di contro, è evidente che la storia non può essere calcolata nè con il cronometro dei giudici sportivi, nè con la fiscalità di contabili e ragionieri. Quello che più conta è invece cogliere i segni di una fase storica per organizzarli secondo un ordine-ragionamento di senso compiuto, e poco ci deve importare, a fronte di questo, se i suoi bordi temporali lievemente sfumati, vengono parzialmente approssimati per meglio chiarire il contesto generale.

Come tutte le teorie musicali e le categorie che ne scaturiscono, ovviamente, anche questa rappresenta una semplificazione rispetto a quanto accaduto, ma l’alternativa, nel caso in esame, implicherebbe una catalogazione per stili e sottostili tanto prolissa e laboriosa da finir per essere più oziosa e dispersiva che utile. Una complicazione e non una soluzione. Provate solo ad immaginare le infinite questioni che potrebbero sorgere da questa impostazione formalista, tipo … Che cosa ha in comune la spensierata fascinazione ’60 di B’52 con la poetica esistenzialisrta di Joy Division? Perchè il funk bianco dei Talking Heads è così diverso da quello dei Gang Of Four e del Pop Group? This Heat sono più coda krauta o nuova onda? Patteggiamo per art rock? Siamo certi che Factrix e Clock DVA vadano catalogati alla voce industrial? Chi mettiamo nella cold wave e chi nella dark wave? Facciamo la conta? No aspettate, prima bisogna distinguere il gothic rock dall’electro gothic. E il positive punk? Cosa intendiamo per positive punk, la scena del batcave? Swans e Sonic Youth degli esordi vanno considerati tarda no wave, o proto noise rock? I Suicide sono il primo duo synth punk, mentre in testa alla lista dei pionieri del minimal synth vanno messi Human League, The Normal e John Foxx? Minimal synth? Ma non si chiamava electro pop? No, techno pop. E che diamine c’entra la techno adesso? E via così delirando. Insomma, se l’alternativa è una palude senza via d’uscita, viva le semplificazioni. E fino a quando qualcuno non ne formulerà una più efficace di quella di Reynolds, per quanto mi riguarda, la sua è la teoria post punk definitiva, quella capace di togliere la patata bollente dal fuoco riportando il danno minore.

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My Disco

Dal 1984 ad oggi, di acqua ne è passata sotto i ponti, il mondo è radicalmente cambiato e molti sono ovviamente i dati da registrare. Alcune prestigiose firme del post punk sono state iscritte nel gotha del pop (Joy Division, Sonic Youth, Swans, Nick Cave), altre sono scadute a livello di vuoto fenomeno da stadio (U2, Depeche Mode, The Cure), mentre molte altre ancora sopravvivono nella memoria cultualistica di una nicchia agguerrita e persistente. Ma non solo, negli anni abbiamo assistito ad una pletora di ristampe e riscoperte postume di nomi minori e intere scene nazionali marginali. Ricordo che per un periodo, ad esempio, si è molto parlato, tra le altre, di quella francese, fino a quel momento pressochè sconosciuta al di fuori dei propri confini. Il catalogo di un’etichetta leader del settore come Vinyl On Demand, effettivamente, può svelare all’ascoltatore dotato di attitudine all’approfondimento, i segreti più preziosi e meglio custoditi di tutto il post punk (ed anche dell’industrial). Così come è sempre esistita una sezione minore di mercato (club, riviste, fan-web-zine, negozi o mail order) specializzata in questo settore. E fin qui, trattandosi di materiali storici sottoposti ciclicamente a riscoperte e rivalutazioni, non si registra niente di insolito, niente, voglio dire, che non avvenga anche in altri ambiti musicali. Il discorso cambia, però, se si tratta di nuove produzioni.

E quindi, adesso veniamo al punto. Se, come da postulato reynoldsiano, post punk è un termine che indica ragionevolmente un contesto (storico-culturale) e non un testo (stilistico-musicale), la cui conclusione è stata stabilita a metà anni ’80, come è possibile designare con quello stesso termine artisti e band emerse successivamente a quella datazione? Non si tratta forse di una contraddizione bella e buona? Eppure, bisogna ammetterlo, il fascino di quella galassia sonora non ha mai smesso di affascinare e influenzare le generazioni musicali dei decenni successivi. Gli esempi in tal senso si sprecano, per ricordare solo alcuni dei nomi più noti emersi nel corso degli ultimi due decenni, ignorando deliberatamente ordini di merito artistico, si potrebbero citare quelli di Franz Ferdinand, Interpol, Editors, i quali, in un dato momento, hanno goduto di una notevole popolarità, od anche quelli, meno celebri, ma comunque ben conosciuti, di Liars, Xiu Xiu, The Soft Moon, A Place To Bury Strangers, Zola Jesus e Chelsea Wolfe. Questi e molti altri nomi analoghi, nei cataloghi discografici, nelle recensioni di riviste, webzine e su Discogs, li troverete tutti indistintamente rubricati sotto la voce post punk, senza prefissi o suffissi che li distinguano dalle produzioni di fine ’70 / primi ’80. Dunque il povero Reynolds ha parlato al deserto? Nessuno ha recepito quanto ha scritto? O forse, semplificazioni ancora più brutali di quelle operate dalla critica illuminata, fanno comodo a qualcuno o qualcosa? In che senso e fino a che punto si può affermare che esista una continuità tra le musiche di quasi 40 anni fa e quelle attuali? La storia somiglia più ad un rettilineo autostradale ben asfaltato o piuttosto ad un paesaggio morfologicamente multiforme nel quale ci si può imbattere in fiumi, montagne e canyon? Ipotizzo due possibili risposte.

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Disappears

La prima osservazione è semplice: cambiare etichette e nomenclatura, in questo caso, non fa comodo al mercato, non avvantaggia i suoi processi di promozione e vendita del prodotto. Post punk, sotto questo profilo, diventa il brand riconoscibile di una sezione commerciale, magari non molto ampia ma ben fidelizzata, lo strumento con il quale colpire un target chiaro e consolidato. Il commercio discografico se ne fotte del rispetto filologico e delle disanime estetiche, è un commercio perlappunto, il suo obbiettivo è vendere e realizzare profitti. Oltretutto, in un panorama musicale parcellizzato come quello contemporaneo è importante che, per dirla con una metafora ortofrutticola, chi vuole le mele possa trovarle facilmente sul banco delle mele e chi vuole i carciofi altrettanto. Non è il caso di disorientare nessuno, dato che il numero di ascoltatori disposti a spendere denaro per acquistare musica è in costante e drammatico ribasso.

La seconda risposta è un po’ più articolata. Una continuità tra generazioni di musicisti, a mio avviso, c’è, ma è giocoforza di ordine puramente formale. La questione non è da porre in termini troppo dissimili da come l’ho esposta nei miei precedenti articoli su industrial e post industrial. Per chiarire meglio il concetto evocherei, facendo le dovute ed ovvie differenze, le relazioni che, nel 1400-1500, intercorsero tra pittura rinascimentale italiana e manierismo. Vale a dire, Michelangelo, Leonardo, Botticelli e Raffaello sono i maestri dell’arte rinascimentale, i protagonisti indiscussi di un’età irripetibile, mentre tutto uno stuolo di artisti a loro posteriori, definiti opportunamente manieristi, sono coloro che, per quasi un secolo, continuarono a lavorare “alla maniera” dei geni rinascimentali, utilizzando le grandi intuizioni dei padri come modello e fonte d’ispirazione. Riportando, adeguatamente ricontestualizzato / riproporzionato, il concetto al nostro caso, si potrebbe affermare che, analogamente, la generazione post punk ha fornito un esempio/modello le cui forme sono state in seguito riprese, rielaborate e ricombinate, senza però poter aggiungere niente in termini sostanziali a quanto già detto in origine. Questo non equivale a dire che operare sulla maniera non produca qualità artistica (Pontormo, Rosso Fiorentino, Parmigianino ed altri manieristi occupano un posto di tutto rispetto nella storia dell’arte), ma piuttosto che non si deve confondere un contesto storico-artistico con un altro. Determinare i fondamenti di un’estetica è un gesto creativo dotato di senso e peso ben diverso dalla ripresa a posteriori delle sue forme. Questo dovrebbe essere di tutta evidenza a chiunque.

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HTRK

E dunque, quali sono i migliori esempi odierni di manierismo post punk? Quali i Pontormo e Rosso Fiorentino della tarda posterità, quelli che, per merito, si elevano dalla massa dei tanti (anzi, troppi) dispensabili Giandomenico De Cialtronis e Fra’ Ignazio Da Miseria detto lo Strimpella? A conoscenza e gusto personale vi caldeggio qualche nome da verificare ed eventualmente approfondire. Factory Floor ed Ulterior, sono due formazioni inglesi che sul finire del decennio scorso partirono con il piede giusto. Due meteore però, dato che alle prime ottime pubblicazioni non ne sono seguite di altrettanto soddisfacenti. Al contrario, gli australiani My Disco e gli statunitensi Disappears, hanno dato il meglio di sé con le loro prove di studio più recenti, rispettivamente, Severe Temporary Residence Limited (2015) e Irreal Kranky (2015). Due album, tra loro neppure troppo dissimili, che del post punk riprendono l’angolare stilizzazione chitarristica per elaborarla in termini decisamente personali e convincenti. Consigliati anche tutti e quattro gli album in discografia di HTRK, una sorta di viaggio sonico che parte da aspri rumori elettrici per approdare a notturne morbidezze elettroniche. In ultimo, tornerei su un titolo già citato in un mio precedente articolo, ovvero l’ultima prova di Raime, Tooth Blackest Ever Black (2016), dove i due giovani britannici, introducendo nel proprio set up elettronico anche alcuni strumenti elettrici e acustici, riescono ad evocare, in forma spettrale, il vecchio suono di casa Factory. Più in generale, quello che accomuna queste formazioni, rendendole degne d’attenzione, al di là della qualità intrinseca della musica prodotta, è il loro modo poco deferente di approcciare alla materia e la totale assenza di qualsiasi traccia di nostalgia. Tutti elementi che, allontanandoli dall’effetto revival, conferiscono loro un senso ed una collocazione avvertibile nel qui ed ora. Una qualità della quale neppure i portatori del triplo post (due generazioni li separano dai “padri”) possono fare a meno, pena l’oblio dell’inutilità. E adesso, si chiude in bellezza con due top list redatte dal sottoscritto a titolo strettamente personale.

UK POST PUNK TOP 15 – con ex aequo –
(in ordine di preferenza personale)

  1. JOY DIVISION Unknown Pleasures, Closer
  2. WIRE 154
  3. THIS HEAT S/T
  4. KILLING JOKE S/T
  5. PUBLIC IMAGE LTD. Metal Box
  6. JOHN FOXX Metamatic
  7. SECTION 25 Always Now / A CERTAIN RATIO To Each
  8. GANG OF FOUR Enterteinment! / THE POP GROUP Y
  9. CINDYTALK Camouflage Heart
  10. SWELL MAPS Jane From Occupied Europe / LEMON KITTENS We Buy A Hammer
  11. ULTRAVOX System Of Romance / SIMPLE MINDS Empires And Dance
  12. COLIN NEWMAN A-Z / NEW ORDER Movements
  13. THE FLYING LIZARDS T.F.L. / PINK INDUSTRY Low Technology
  14. THE CURE Seventeen Seconds / SIOUXIE AND THE BANSHEES Join Hands
  15. VIRGIN PRUNES If I Die I Die / BAUHAUS In The Flat Field

USA POST PUNK TOP 15 – con ex aequo –
(in ordine di preferenza personale)

  1. SUICIDE S/T
  2. V.A. No New York
  3. SONIC YOUTH Confusion Is Sex / SWANS Cop
  4. TUXEDOMOON Half Mute, Desire
  5. BRIAN ENO – DAVID BYRNE My Life In The Bush Of Ghosts
  6. PERE UBU Modern Dance, Dub Housing
  7. DARK DAY Exterminating Angel
  8. IKE YARD S/T
  9. GLENN BRANCA The Ascension
  10. DEVO Q: Are We Not Men? A: We Are Devo!
  11. MINIMAL MAN The Shroud Of / MONITOR S/T
  12. SAVAGE REPUBLIC Tragic Figures
  13. CHROME Alien Soundtracks
  14. CHRISTIAN DEATH Only Theatre Of Pain
  15. WALL OF VOODOO Dark Continent

Gianluca Becuzzi