GRYS-GRYS

I Grys-Grys non esistono più! 3 singoli e 2 album in poco più di 10 anni e fine delle trasmissioni. Ma che singoli! E che album! Spuntati nel 2010 dai meandri di Alés (Francia) si sono presi tutto il tempo necessario per assimilare al meglio le lezioni impartite quasi 60 anni prima da mostri sacri quali Pretty Things, Chocolate Watch Band, Kinks, Yardbirds, Remains, Creation, 13th Floor Elevators, solo per citarne alcuni, ed effettuare quel lancio che li ha visti battere l’Europa in lungo e in largo con capatine anche dall’altra parte del globo diventando chiacchieratissimi tra gli addetti ai lavori ed amatissimi da pubblico e critica (Mike Stax li adora).

Ci son voluti ben 4 anni (2014) prima che Roméo Lachasseigne (chitarra principale), Tobio Lotto (voce principale, chitarra ritmica), Almir Phelge (basso), Manuel Monnier (armonica, maracas, tamburello) ed Esteban Grisey (batteria) dessero alle stampe il loro primo frutto, nel breve formato e marchiato State, Hot Gully Wind / Neighbour Neighbour, notevolissimo quanto scarno nella confezione (una “mutanda” die-cut che tradisce immediatamente il loro background) con all’interno un insertino fotografico a svelare i loro volti. Di matrice rock’n’roll la prima, tipicamente sixties nell’incedere martellante la b-side, garage e freakbeat potenti e velenosi, figli più del “neo” che dell'”old”, con tanto di armonica ulrante.

La pistola fuma e le aspettative aumentano!

Ancora un singolo (2015), questa volta su Dirty Water, a ribadire i concetti dell’esordio e l’oramai indubbia abilità acquisita del quintetto nel trattare la materia, abilità che fiorisce del tutto nel tanto atteso primo omonimo album per Groovie / Head / Ville Freurie Alès che arriva dopo altri 4 anni passati a solcare i palchi senza battere ciglio e con Vincent Bassou al posto di Tobio Lotto. Garage, freakbeat, rock’n’blues e psych gli ingredienti di una miscela combinata in una chiave personalissima ed istintiva. Rock and roll di base nelle ritmiche, chitarre garage nervose ed affilate, tocchi sparsi di armonica ed inserti melodici dal piglio immediato rendono l’album una deliziosa chicca che alle volte catapulta in piena era garage, altre in trip acidi, altre ancora in ambientazioni metropolitane che puzzano di blues o nei campi di cotone degli anni ’30. Due le cover, Got Love, celeberrimo rhythm and blues del 1957 di Slim Harpo sebbene questi non venga citato nei crediti ed una magistrale She Just Left dei Crawdaddys, un neo-garage da antologia.

Da questo momento gli intervalli tra le uscite si riducono notevolmente già a partire dal singolo del 2020 Milk Cow Blues / So Long, per il quale ritornano su State, due brani che ritroveremo nel successivo (di un anno) album To Fall Down dove i nostri, accasatisi presso la Norton, alzano l’asticella e si mettono letteralmente in gioco avventurandosi in territori altri senza perdere quella vena sixties oriented che aveva rappresentato inequivocabilmente il loro marchio di fabbrica. Non fosse stato per i trascorsi con ogni probabilità non li avrei relegati neanche tra le file del garage. L’istinto si placa, il freakbeat si fa più evoluto, i tempi si dilatano, si sperimentano nuovi suoni, ci si approccia alle melodie (Watching My Idols Die), i trip da acidi si fanno anche sintetici, si spiccano addirittura voli chitarristici pindarici alla Feelies (provare See Me Frown per crederere) e ci si spinge indietro nel tempo fino a sporcarsi le unghie con un traditional da brivido come Milk Cow Blues siglato nel 1934 da Kokomo Arnold. Anche qui le cover sono due, con la seconda volano in Australia a scomodare nientepopodimeno che i The Throb con una Turn My Head, originariamente b-side del singolo Black (1966), dal timbro beat gioioso e dalla presa immediata.

Ci lasciano così i Grys-Grys, sulle note di To Fall Down, quasi a presagire l’imminente scioglimento, con grandi aspettative del tutto abortite e tanto, tanto amaro in bocca.

Salvatore Lobosco