WINTER SEVERITY INDEX
"Human Taxonomy"
(Manic Depression, 2016)
A due anni di distanza dal loro esordio sulla lunga durata – quello Slanting Ray che vide il felice passaggio delle Winter Severity Index da un quartetto ad un duo, consacrandone il piglio sonoro in un’algida ed asettica proposta di post-punk etereo e melancolico grazie soprattutto all’avvento della drum machine della leader Simona Ferrucci incastonata magnificamente con le sue chitarre chiaroscurali dalle melodie che avvolgono e struggono – il progetto romano torna ad appoggiarsi alla blasonata etichetta francese Manic Depression Records per questo nuovo LP dal titolo Human Taxonomy, uscito a maggio in formato digitale o in due formati fisici limitati, il primo in vinile nero 12″ in 500 copie ed il secondo in CD digipak in 1000 copie.
L’atteso ritorno del progetto di Simona Ferrucci ed Alessandra Romeo porta con sé rilevanti novità nella resa sonora generale, racchiuse in una durata molto più compressa di quella del lavoro precedente (l’album sfora di pochissimo la mezz’ora di durata). Si tratta di un lavoro ancora più oscuro ed opprimente del precedente, dove ad imperare sono le robotiche percussioni viscerali ed inarrestabili, vere protagoniste dell’intera opera, che impregnano inesorabili il suo procedere con pulsazioni velate ma decise su echi chitarristici chiaroscurali e tensioni di basso (la intro strumentale Paraphilia), squarciano poi questo iniziatico velo grigio e freddo per abbarbicarsi, scuotendoli dalle fondamenta, tra sostenuti ed eterei vortici post punk armoniosi e lucenti (Athlete), o collimare, assieme al basso viscerale, in schizoidi e fagocitanti gorghi neri che risucchiano gli echi vocali e le allungate chitarre (A Quiet Life). Sostenuti spruzzi percussivi tappezzano invece la laconica ballad eterea Waiting Room, dove voce e chitarra ritornano a brillare coi loro freddi bagliori sospesi assieme a synth rimuginanti, mentre la successiva Backstroke riconferma la potenza espressiva dell’album basata sull’incursione incisiva di basso e drum machine, che annientano e fantasmizzano ancor di più i già impalpabili elementi vocali e chitarristici costruendo tessiture oscure, opprimenti e tese che scavano da dentro. Con un titolo come Drums Of Affliction, non ci si poteva che aspettare una gragnola di colpi percussivi allo stomaco nel pezzo che segue, le cui folate sferrano attacchi alle nebbie di basso in mistica sinergia vorticosa con le vocal incisive della leader e gli algidi riverberi di chitarra. La conclusione è infine affidata a 5 Am, crogiolo di cupe tensioni bassistiche che tessono una tela indelebilmente nera su nervosismi percussivi e distanti brillii di voce e chitarra, suggello azzeccatissimo per un’opera oscura, tagliente e di forte impatto, episodio che va a sondare la parte più diretta e rabbiosa del duo romano, senza però lasciare indietro quel suo tocco melanconico di ricercatezza melodica indissolubilmente legato alla sua proposta musicale.
Album d’impatto, che sormonta la proposta più eterea ed avvolgente del precedente per presentare un duo accanito e combattivo, portavoce di una carica post-punk dai tratti algidi e suadenti, dura e delicatamente femminea assieme, come una statua di marmo scolpita tra chirurgie percussive e afflati chiaroscurali.
Lorenzo Nobili