UPLOAD GENERATION
Quanto e come è cambiato il modo di ascoltare la musica nell'epoca del web
(Seconda parte)

Come abbiamo precedentemente detto, l’appassionato di musica dell’età pre-internet era tanto un abile predatore vorace di suoni, quanto un fervente cerimoniere del culto dell’ascolto. Negli ultimi due decenni la rete ha fatto tabula rasa, o quasi, dell’habitat culturale pregresso sostituendolo con un nuovo mondo, un’intricata giungla virtuale strabordante di ogni tipo di input-informazione. È così che, sorpresa-stordita dalla gratuità della musica liquida, l’aggressività bramosa di quel predatore-cerimoniere è entrata in crisi e, con essa, tutte le logiche di comunicazione e mercato ad essa collegate e da essa alimentate sono progressivamente collassate. Agonia dell’industria discografica, gentrificazione, frugalità bulimica nell’approccio all’ascolto con conseguente diminuzione di desiderio e grado attentivo verso la musica, sono i primi effetti causati da questo cambiamento epocale. Uno scenario del quale, alcuni di noi ricordano l’inizio ma nessuno è capace di scorgere la fine.

Nei termini inglesi “upload” (caricamento) e “sharing” (condivisione) si fissano i due passaggi di un processo che, nel corso degli ultimi anni, ha determinato un’ulteriore espansione planetaria della musica liquida. Come ben sappiamo, ad oggi, in rete esistono svariate piattaforme specifiche sulle quali, dopo aver creato un personal account, l’utente ha gratuitamente in uso uno spazio nel quale può caricare composizioni musicali e/o audiovisive. Tra le molte esistenti, quelle attualmente più utilizzate sono: Youtube (2005) e Vevo (2009), per i video, Soundcloud (2007), Bandcamp (2007), Reverbnation (2006), per il solo audio. La prevalente modalità di ascolto in streaming, sulla quale si basano questi software, li ha rapidamente trasformati in una sorta di juke box della musica liquida, stabilendo un tipo di fruizione istantanea che, negli ultimi tempi, ha superato in diffusione il più lento processo del download. Nel passaggio da scaricamento a flusso di dati in tempo reale, le pratiche d’ascolto musicale hanno registrato un’ulteriore accelerazione, incrementando disordine-casualità, frammentazione e aumentata frugalità nelle abitudini dell’utente medio. Un po’ come se la tecnologia avesse realizzato il fantastico “teletrasporto” di Star Trek in sostituzione di auto, treni e aerei. Un dispositivo capace di annullare distanze spazio-temporali, ma non senza qualche effetto collaterale indesiderato. Su quest’ultimo aspetto torneremo a breve …

Diciamo invece subito che, contestualmente a Youtube & Co., la comparsa dei social network ha impattato pesantemente sulla vita di buona parte di noi. L’ascoltatore di musica è transitato da MySpace (USA 2003, Italia 2006), prima comunità virtuale esclusivamente dedicata alla musica (non a caso il suo motto era “a place for music”), ai più generalisti, ma alla fine vincenti, Facebook (USA 2004, Italia 2008) e/o Twitter (USA 2006, Italia 2009), forse passando anche per Last.fm (USA 2002, Italia 2006) e altri ancora. A puro titolo di curiosità, apro una parentesi, ricordando che la primissima music community, lanciata in rete nel lontano 1999, si chiamava Vampirefreaks, ed era una sorta di social network ante-litteram specificamente dedicato ai generi gothic e industrial. Questo giusto per ribadire quanto quelle tribù possiedano da sempre tanto l’attitudine comunitaria di un formicaio, quanto la coriacea corazza dell’alligatore. Chiusa parentesi. Ecco così che con i social entra prepotentemente in scena la pratica dello sharing capace, tramite link ai software di upload, di spingere a livello virale la diffusione planetaria della musica liquida. Dalla star al semi-professionista, giù fino al musicista della domenica, nessuno sembra capace di sottrarsi a questa turbinosa cyber-giostra del carica-condividi-carica ad libitum. Difficile trovare, in tutto ciò, il semplice fruitore, dato che il grande assente è proprio lui, l’anello finale della catena, l’ascoltatore in purezza. Nell’arco di un decennio internet (complice anche certa TV-spazzatura e la sua spinta al protagonismo a tutti i costi) ha trasformato magicamente tutti in addetti ai lavori: esperti-recensori di webzine, manager di netlabel, speaker di webradio, videomaker, fotografi, grafici e, ovviamente, musicisti-compositori. E dire che noi, irriducibili pessimisti, avremmo giurato che la frustrazione indotta da interi hard disk stipati di mp3 scaricati da Soulseek o Torrent e mai ascoltati, li avesse spinti tutti dietro ad una playstation. E invece …

Sarcasmo a parte … L’avvento di quella che potremmo definire “upload generation” ha imposto un nuovo ordine globale che regola tanto il mainstream quanto il sommerso. Per cominciare, nel mainstream è ormai evidente che alle scelte “dall’alto” delle major si è sostituita una democrazia popolare internettiana che, a suon di click e “like”, “dal basso”, elegge per acclamazione le proprie instant-star. Si tratta massimamente di giovanissimi nell’età dell’adolescenza, se non addirittura in quella prepuberale. A cosa conduca il loro (pessimo) gusto, qualora non lo avessimo intuito, abbiamo già ampiamente avuto modo di sperimentarlo nella pratica. Un solo esempio sul quale riflettere: gli U2, rappresentano, come ben sappiamo, una consolidata, se pur discutibile, espressione internazionale delle scelte major. Il loro video più clickato su Youtube è With Or Without You, con 214 milioni di visualizzazioni in sette anni. Fabio Rovazzi, che invece è espressione nazionale delle scelte del web, con il suo video di maggior successo Andiamo A Comandare, ha totalizzato la bellezza di 122 milioni di visualizzazioni in un solo anno. Fatevi due conti e poi tirate voi le somme …. Lo so, il mondo del mainstream non ci riguarda, come non ci riguardano i suoi commerci vecchi e nuovi, è vero, ma se pensate che tutto questo non abbia ricadute anche sulla musica intesa come arte e cultura vi sbagliate di grosso.

Nelle civiltà degne di questo nome, quando la cultura non ha i mezzi per auto-sostentarsi, lo stato interviene con finanziamenti pubblici indirizzati a garantirne la continuità, ma in tempi di recessione economica come i nostri, sono rimasti in pochi ad aver risorse e volontà politica per farlo. Accade così che, chi fa della musica una questione eminentemente artistico-culturale, è sempre più abbandonato a se stesso, solo e svantaggiato nel fronteggiare le regole del libero mercato e della sua crisi che comprimono drammaticamente, sempre più verso il basso, le sue economie. Il tentativo di aggredire il problema attraverso il rilancio di vecchi formati come il vinile, ed in alcune nicchie addirittura dell’audio-cassetta, non è evidentemente risolutivo. Non si può pensare di dichiarare guerra agli Stati Uniti imbarcandosi su una bagnarola da migranti armati di fionde e lance di pietra. Quelle armi possono funzionare al massimo per difendere le ultime briciole di pane dall’assalto dei ratti, o poco più. Del resto, la musica “altra”, non si è neppure potuta esimere dal digitare il proprio log in nel mondo virtuale di internet, con la conseguenza di ingrossare, fino alla saturazione, la massa critica delle proposte che lo affolla, oltrechè di equiparare, perlomeno a prima vista, l’artista squattrinato-poco noto (ma magari talentuoso) al wannabe terminale. Ed è proprio questo il problema numero uno con il quale l’ascoltatore-utente dotato di buona volontà va a scontrarsi. All’aumento esponenziale di nomi-sigle-musiche, determinato dal web, non è corrisposto un aumento proporzionale di qualità. Il lago si è trasformato in un oceano, si è riempito di pesci non commestibili, ma il numero di trote è rimasto pressochè lo stesso, ergo, per pescarle è richiesto più tempo, fatica e dedizione. Cambiando scenario metaforico, si potrebbe dire che, se entri nella giungla senza una mappa, hai ben poche possibilità di trovare ciò che stai cacciando, e più probabilmente finirai per esser inghiottito dai labirinti della giungla stessa. Paradossalmente, di una mappa, cioè un metodo d’orientamento critico, è più verosimile ne dispongano gli ascoltatori formatisi in epoca pre-digitale. Questo perchè la rete somiglia molto più ad un’immensa biblioteca immateriale, e non ad un corpo docente in grado di formare-istruire adeguatamente i propri allievi. Non c’è dunque da stupirsi se, la modalità d’ascolto più comune della navigazione in rete, conduce alla deriva del vagare afinalisticamente da link a link.

Resterebbero da scandagliare altri aspetti ancora. Tipo … Se e come la rete ha impattato sulla dimensione live. Quanto la stasi delle idee manifestatasi negli ultimi quindici anni sia da mettere in relazione con la crisi del mercato, e dunque anche con la smaterializzazione della merce, per come l’abbiamo inquadrata in questa breve disanima. Oppure, chiedersi come possano coesistere il decremento di rappresentatività sociale della musica con il suo massimo incremento di visibilità mediatica. Infine e sopratutto, se sia immaginabile un domani della musica in assenza dall’industria-businnes, multinazionale e indipendente, che l’ha regolata per tutto il secolo scorso. Douglas Rushkoff, autore del saggio “Presente Continuo. Quando Tutto Accade Ora” (Codice 2014), sostiene che la nostra incapacità di scorgere il futuro, dipende dal fatto che viviamo in un’interzona cognitivo-culturale a cavallo tra due epoche tra loro profondamente diverse. Effettivamente se allarghiamo la nostra riflessione ad una prospettiva storica più ampia, apparirà evidente che l’arte della musica e dell’ascolto si è sviluppata per secoli senza dover esser fissata su un supporto fisico, a lungo, addirittura, senza neppure esser soggetta a trascrizione. Dall’invenzione del fonografo di Thomas Edison ad oggi, è trascorso poco meno di un secolo e mezzo, un’inezia rispetto ai tempi dell’umanità considerati nella loro totalità. Dunque, l’ascoltatore non dovrebbe preoccuparsi più di tanto della situazione attuale? Dovremmo pensare che la musica una nuvola era e una nuvola è tornata ad essere? Onestamente non lo so. Quello di cui sono invece certo, è che la storia deve fare il proprio corso, e a noi spetta, tanto accettare ciò che il futuro ha in serbo per noi, quanto vigilare sul presente, esercitando costantemente il nostro diritto di critica, dato che questo è quanto ci è ancora concesso.

Nota: Un ringraziamento a Diego D.Loop e Giordano Rivolta per le info fornitemi.

Gianluca Becuzzi