WAYNE HUSSEY 
(Bologna, 10 ottobre 2019)

Gradito ritorno quello di Wayne Hussey in Italia con tre date che l’hanno visto on stage come one man band. L’ultima sua visita nel nostro paese era stata con i Mission per il celebrativo dei loro 30 anni di carriera con un’unica tappa allo storico Bloom di Mezzago. Milano, Bologna e Pisa ospitano questa volta l’artista che non delude i suoi fan. Scelgo Bologna come concerto da vedere; atmosfera piuttosto rilassata al Freakout. È un giovedi, non c’è il pubblico delle grandi occasioni ma il club è quasi pieno fin dall’apertura musicale affidata ad Ashton Nyte, frontman dei sudafricani The Awekening, anche lui per l’occasione in veste solista. Alle ore 23:00 Wayne calca il palco del locale; alle spalle da fondo le sue 5 chitarre, tra cui la famosa Schecter a 12 corde, che è solito alternare nei brani proposti ed un synth. Un saluto al pubblico accennando della sua piacevole visita pomeridiana nel capoluogo emiliano e via con le canzoni e di canzoni possiamo proprio parlare. Lo spirito nero da bluesman domina i fraseggi ed i fantasmi di Johnny Cash e Jeffrey Lee Pierce aleggiano prepotentemente. Le composizioni sono piuttosto personali, per lo più il repertorio prende dalla sua band, i Mission per l’appunto. Non mancano Wasteland, Garden Of Delight, Naked And Savage. Parecchie cover come A Night Like This dei Cure, Personal Jesus dei Depeche Mode, Lucky dei Radiohead, Hurt dei Nine Inch Nails e l’immancabile Like Hurricane di Neil Young con la quale chiude. Nulla dei Sisters Of Mercy nonostante il giorno precedente al Ligera di Milano avesse suonato Marian. A proposito della formazione di Leeds del quale ha fatto parte nel biennio tra il 1984 e il 1986, non poteva mancare un simpatico siparietto tra lui ed un ragazzo in prima fila che indossava la t-shirt col celebre logo ed il nome del gruppo di Eldricht. Due ore di musica che sono scivolate via velocemente tra gli applausi compiaciuto dei presenti. Hussey al termine si concede per le rituali fotografie e gli autografi con una disponibilità encomiabile che lascia ancor di più entusiasti o perplessi non avendo mai amato questo tipo di celebrazioni. Personalmente ho apprezzato molto di più il repertorio elettroacustico ma tutto il concerto ha ben impressionato meritando l’attenzione dei presenti. Jerry Wayne Lovelock (vero nome), non si discute (come del resto a livello mediatico), sa il fatto suo. Con i Mission ha continuato a produrre dischi di una certa importanza e a suonare in tour mentre la scena stava subendo un rinnovamento dettato dai tempi e non mi sembra ci siano così tante formazioni ancora in giro che abbiano fatto di meglio. (Gli scatti sono di Barbara Lodi che da questo momento collaborerà come fotografa nelle mie recensioni riguardanti la Rubrica “Cartoline dal Palco”).

Luca Sponzilli