SDH
"Mad Show"
(Sham Foundation, 2020)

Vengono da Rieti (Italia) gli SDH, collettivo musicale ultra indipendente che si identifica da sempre con Nazzareno Martellucci (cantante, bassista, chitarrista, compositore) e la sigla Sham Foundation. Lui si occupa dei testi della band, Daniele Colantoni della parte strettamente musicale, o di gran parte di essa, come in questo nuovo lavoro Mad Show. Ultra indipendenti dicevamo ed integralisti gli SDH, all’insegna di un punk di stampo californiano di bocca buona, mai sceso a compromessi, mai ortodosso e venato sempre di mood trasversali: sin dai loro primi due documenti sonori, Engage (confortato dalla grafica visionaria di Prof. Bad Trip) (2007) e Mess It Up! (2009) un’antologia. Due CD.

Martellucci, voce tormentata e chitarra velenosa, ha sempre amato due cose: cambiare formato alle sue produzioni e non segnalare mai l’anno di uscita, unico dato certo l’intervallo temporale spesso congruo tra l’una e l’altra. Il seguente Notes About A Mental Breakdown è una musicassetta (2014) poi ripubblicato in formato 7″; Rough Hunger (2017) un CD, il precedente The Dark Satanic Mill (2013) ed il nuovissimo Mad Show sono due vinili; l’ultimo contraddistinto da una data astrale.

La confezione di Mad Show (sei brani incisi tutti su un lato, l’altro è vuoto) è davvero lussuosa: questa volta gli SDH hanno voluto fare le cose in grande, un cofanetto contenente oltre al vinile una “dispensa” stupefacente di 20 pagine formato grande di cut-up, di illustrazioni, photo-collages, fumetti siglati Ilaria “Ila Pop” Novelli, che aveva lavorato anche sulla confezione del precedente Rough Hunger. È proprio da questo tour de force cartaceo (come si usava negli album degli anni ’60) che inizia lo “spettacolo pazzo” annunciato dal titolo del disco: un torrente di immagini in bianco e nero, simboliche, crudeli, inquietanti, spesso surreali, a volte disturbanti e dense di contenuti erotici, di figure femminili, sesso e morte, anche spiacevoli. Qui e là tranci di testi, figure che dialogano, riferimenti ai titoli dei brani (ed ai contenuti?). L’impressione è che nel cofanetto si voglia attribuire al fascicolo cartaceo la stessa importanza dei sei brani incisi.

Venendo alla musica, stessa accentuata non ortodossia espressiva si ritrova nei primi tre episodi, The Hole Card, The Wrong Pot And The Drunk GamblerSusy Loose e la title track Mad Show, un crogiuolo in cui il punk è solo una componente trasfigurata del sound del combo reatino, trasudante variazioni oscure e negative ed inquietudini esistenziali. A volte non si comprende (ottimo segno!) dove gli SDH (Sweet Dutch Honey) vogliano andare a parare musicalmente. I limiti di genere sono sempre sfumati, con una tensione a creare inusitate amalgame sonore. Nella seconda tranche Martellucci e Colantoni (We Ain’t Got Time52Hz WhaleYou, My Rash) tornano al loro vecchio amore, puntualmente viscerale e diretto, senza fronzoli e ricco di illustri ascendenti americani ’80 e ’90. Delle due sezioni la prima è decisamente la più impegnativa, ma anche la più affascinante. È sul quel solco che crediamo gli SDH debbano continuare a muoversi.

Mad Show è stato stampato su vinile in poche copie fisiche, ma la band lo rende disponibile ed ascoltabile a tutti gratuitamente, scaricandolo a questo link: www.mediafire.com/download/qzdtoc02fkd9ytb

Il link a Bandcamp invece assicura una migliore qualità dei files del disco:
sdh3000.bandcamp.com/album/mad-show

INTERVISTA

Rieti non può certamente far concorrenza musicalmente nello spaccato laziale alla ricchezza di Roma capoluogo e capitale, campionessa per una lunga storia e varietà di rock band. Motivo in più per apprezzare il caso più unico che raro per costanza nel tempo e coerenza stilistica con radici nei ’90, operativi discograficamente dal 2007, artefici di sei lavori tutti di buona se non ottima fattura, fino al recente (2020) Mad Show. Il vinile, che si distingue più per corposa confezione che per quantità e lunghezza dei brani, giustifica la nostra decisione di intervistare, dopo tanti anni di rapporti amichevoli all’insegna del rispetto reciproco, gli SDH nella persona di Nazzareno Martellucci.

Ciao Nazzareno. Come si è evoluto (se si è evoluto) attraverso gli anni il punk negli SDH?

Abbiamo sempre cercato di non avere una visione monolitica del punk, sia nello stile che nel suono, guardando all’eclettismo del punk degli anni ’80. Mantenendo costante questo spirito, ci sembra di essere migliorati nella composizione.

Musicalmente come definireste le due diverse porzioni di “Mad Show”, ognuna di tre brani?

(Risponde Daniele Colantoni che ha composto tutti i brani)

I primi tre brani sono punk rock, gli altri tre garage.

Di cosa parlano i testi di “Mad Show” e dei vostri cinque lavori precedenti?

Mad Show è un disco sul brutto spettacolo che ci offre la società attuale, sul mondo con cui ci troviamo a relazionarci, in particolar modo come influisce sulla comunicazione tra gli individui, in una sorta di incomunicabilità che diventa acomunicabilità. A parte Engage che è stato più una selezione tra i brani degli anni ’90 ed i nuovi, gli altri dischi hanno sempre un tema di fondo, anche se non seguito pedissequamente. The Dark Satanic Mill il tema è il turbocapitalismo, Notes About a Mental Breakdown era dedicato al nostro amico Mescala scomparso e Rough Hunger parlava di passioni che diventano ossessioni. Questi sono i tre dischi che hanno avuto dei temi centrali forti.

Hai accennato agli anni ’90: cosa hanno pubblicato gli SDH prima di “Engage”? E per cosa sta la sigla SDH?

Non molto. Due demo a nome Sweet Dutch Honey (poi sintetizzato in SDH) molto ben accolti dalla stampa dell’epoca. Suonavamo soprattutto dal vivo. Nel 2018 li abbiamo rimasterizzati e raccolti nell’album digitale Concerto Per Quasar. Si può scaricare gratuitamente dal link:
https://www.mediafire.com/download/e453ysoumvqv0xl
Gli Sweet Dutch Honey sono stati attivi dal 1992 al1995, ma è un’altra storia. Dal 1995 al 2006, quando abbiamo ricominciato come SDH, Daniele si è occupato della Sham Foundation, mentre io ho suonato con gli Engel DV.

Torniamo a “Mad Show”. Mi è piaciuta soprattutto la prima sezione di tre brani.

Sono contento ti sia piaciuto. Stavolta abbiamo voluto produrre un lavoro in tiratura limitatissima (40 copie) da regalare in omaggio a chi ci ha sempre supportato e metterlo a disposizione di tutti con il download gratuito su Mediafire e Bandcamp. In realtà il lavoro è stato pensato come un EP diviso con i primi tre brani su un lato e gli altri tre sull’altro con una netta separazione. Poi, per problemi di costi, abbiamo dovuto ripiegare sulla soluzione di stampare un solo lato.

Ci parli della Sham Foundation e dei tuoi collaboratori?

La Sham Foundation è nata nel 1997 come etichetta e mail order. Negli anni sono stati prodotti il primo 7″ ed il primo LP dei Loose, un 7″ degli Slow Slushi Boy, un CD dei Mokba ed uno degli Evils, questi ultimi due ed il nostro Engage in collaborazione con la Nicotine Records. Ma il lavoro più prestigioso è stato il doppio LP di Ray Daytona Fasten Seat Belt.
Daniele compone la gran parte delle canzoni, se non tutte come in Mad Show. Io mi occupo dei testi. Alla batteria si sono alternate diverse persone. Solo negli ultimi anni abbiamo avuto un collaboratore fisso. Facciamo anche molti interventi di drum machine. Già da qualche disco la chitarra la suono pochissimo. Sono tornato principalmente al basso.

Ti occupi di tutta la produzione dei brani, oltre a cantare, suonare la chitarra ed il basso?

Sì, siamo piuttosto autarchici ahahah! Mi occupo io degli arrangiamenti, mixaggio e mastering, sempre confrontandomi con Daniele, che avrai capito è da sempre il mio collaboratore più prezioso, figura fondamentale per gli SDH con il suo stile chitarristico molto personale, unico.
La grafica e la parte visuale hanno sempre avuto molta importanza nelle vostre produzioni sin dal primo Engage. Ma con il massiccio lavoro di Ilaria “Ila Pop” Novelli assurgono nella versione in vinile di questo Mad Show ad una funzione primaria e indipendente.

Puoi parlarci del loro rapporto con la vostra musica?

Il rock’n’roll è anche visivo ed immaginifico e poi quante volte abbiamo comprato un disco solo perché ci piaceva la copertina! Abbiamo avuto la possibilità di avvalerci della collaborazione di artisti nonché amici – dal Prof Bad Trip di Engage alle foto di Roberto Saletti, da Mescala fino ad Ilaria Novelli che questa volta si ha onorato di un lavoro ancora più impegnativo di quanto fatto per Rough Hunger – che ci hanno aiutato a presentare un oggetto più completo.

Perché nei sei dischi degli SDH non è mai indicato l’anno di uscita? Per scaramanzia o cosa? Visto che ci siamo puoi indicarceli?

Sinceramente non ci abbiamo mai pensato! Ecco qua: Engage 2007, Mess It Up! 2009, The Dark Satanic Mill 2013, Notes About A Mental Breakdown 2014, Rough Hunger 2017 in CD in una confezione per vinile. Come dicevamo, nel 2018 abbiamo ripubblicato, solo in format digitale, i nostri lavori degli anni ’90.

Da quali artisti è stato influenzata la produzione degli SDH in passato ed ora nel terzo millennio ed in “Mad Show”?

Le influenze oramai non si contano più e questo solo per un triste dato anagrafico. Dal garage alla psichedelia, dal blues all’hard rock, il punk, la musica industriale, l’art rock, il grunge, l’indie e così via nel corso dei decenni, pur pescando molto al di fuori dell’ambito del rock. È sempre un po’ di tutto che poi va a finire nelle canzoni. Direi che Mess It Up!, un disco scritto con intento antologico, sia molto indicativo.

Pasquale Boffoli