ATARAXIA
"Quasar"
(AnnapurnA, 2020)

Paesaggi cosmici, luci galattiche, iniziatiche esperienze sonore e molto altro ancora in Quasar, l’ultima fatica sulla lunga distanza dei modenesi Ataraxia. Attivi dalla metà degli anni ’80, la formazione è guidata dalla splendida vocalità di Francesca Nicoli e vede alle chitarre Vittorio Vandelli, alle tastiere e al pianoforte Giovanni Pagliari e alle percussioni Riccardo Spaggiari. Fin dagli esordi ogni appuntamento discografico costituisce per l’ascoltatore, ben presto iniziato e viandante alchemico, l’incontro con un pluriverso sinestetico. Profumi, colori e suggestioni magico-esoteriche accompagnano una variegata e molteplice ricerca musicale, che spazia dalla melodia di stampo neoclassico/medievaleggiante di Kremasta Nera al cabaret malato e decadente di Paris Spleen, con una Parigi di inizio ‘900 che vede la Nicoli ispirarsi a Diamanda Galàs. Spesso rinchiusi ingiustamente nei cliché di certa darkwave, che è certamente cifra stilistica fondamentale per il gruppo, così come i riferimenti obbligati a gruppi essenziali come Dead Can Dance e This Mortal Coil, i nostri hanno saputo confezionare negli anni lavori convincenti e ricchi di idee personali e rischiose. Le suggestioni sonore, inoltre, si fanno corpo solido nella ricerca linguistica, mai banale, per raggiungere l’essenza più pura della musicalità inscritta nelle esperienze delle diverse tradizioni. Viaggiatori instancabili, dunque, eredi dell’Ulisse affamato di sapere, con Ataraxia ci troviamo presso Agartha o ai piedi del monte Nemrut in Anatolia, in una bettola di Parigi o a cavallo al fianco di Riccardo Cuor di Leone. Con Quasar il viaggio si fa ancora più ardito, l’alchimia siderale si fa sostanza numerica, il solve-et-coagula dell’iniziazione è viaggio nel profondo di sé, è l’anima mundi, lo ying e lo yang, l’atman.

Le tracce del disco sono 7, numero archetipico per eccellenza, come i colori dell’arcobaleno, come 7 sono gli arcangeli che compaiono nella eterea Nebula, con un canto distante e delicato. L’eterea Oneness, che precede la morbidissima Sex Is A Prayer, sono tra le mie favorite dell’intero disco, un lavoro di intarsio sonoro rarefatto e calibratissimo tra la dimensione percussiva, misurata e mai ripetitiva, e la voce, accomodata direttamente su una nuvola. Certamente degna di particolare menzione anche The Timeless, che esordisce con un arpeggio dal profumo prog e si avvolge in un canto dal timbro teatrale e confidenziale, altra passione coltivata in più di una circostanza dal gruppo modenese.

Uscite, dunque, con Ataraxia a riveder le stelle, non dimenticate che se l’abisso vi guarda, il cielo, da lassù, vi aspetta desiderando.

Coraggio, partite!

Davide Gonzaga