AMERICAN LO-FI PUNK BLUES, ANNI ’90/’00 (Prima Parte)
(Bassholes, Grafton)

Era il 1998 quando il professor Don Howland di Columbus, Ohio, incideva per la In The Red Records quello che a tutt’oggi rimane il suo capolavoro artistico targato Bassholes: il doppio lavoro When My Blue Moon Turns Red Again. Era invece dalla fine degli ’80 che Howland, cantante/chitarrista/compositore scavava alla ricerca dello spirito più incontaminato delle radici country e delta-blues americane, prima con Monsieur Jeffrey Evans (poi leader dei ’68 Comeback) nei Gibson Brothers, poi dal 1992 con il duo dei Bassholes. Insieme a Jon Spencer Blues Explosion (e ancor prima i Pussy Galore), Bassholes e ’68 Comeback sono state la triade di band chiave ad innescare l’esplosione (pur se di nicchia) tutta americana del fenomeno punk blues/noise blues lo-fi (in bassa fedeltà) tra anni ’90 e 2000, che rifacendosi anche a maestri-santoni americani della dissacrazione sonora della seconda metà del ‘900 come Captain Beefheart, violentava l’immarcescibile tradizione e le roots blues e country a stelle e strisce, sporcandole, incatramandole di nuova rugginosa, elettrica verginità.”.

Così scrivevo nel 2000 recensendo When My Blue Moon Turns Red Again: “I Gibson Brothers avevano scarnificato le imprescindibili roots country e blues dandone una versione bianca malata ed urbana; con i Bassholes, Howland, invece, aveva in seguito definito una personalissima visione punk-acida del blues attraverso opere seminali come Blue Roots (’93), Haunted Hill (’95), Deaf Mix Vol. 3 (’97) e Long Way Blues 1996-1998 (’98). Con When My Blue Moon Turns Red Again Howland uccide definitivamente il piglio bacchettone-purista di certo blues made in ’90 consegnandoci un doppio lavoro in compagnia di Bim Thomas (drums) e Jon Whal (armonica, saxophone, organ), trio motivatissimo dal tiro micidiale. È un Howland lucido, viscerale, come mai prima autore, ed esecutore spiritato di sghembi blues epico-elettrici orgogliosamente punk, Virginia Valley Blues, Judge Harsh, Swimmimg Blues, Born To Die … riuscendo persino a resuscitare lo spirito di Ian Curtis ed a fasciarlo di blues (Interzone).”.

Nel 2000 uscì per la Sympathy For The Record Industry, The Secret Strenght Of Depression, un live registrato al KSPC, Claremont, nel 1997 che ripassava le intuizioni minimali degli album degli anni ’90, in compagnia solo del fido batterista Lamont “Bim” Thomas. Tra le altre godibilissime tracce del live (una registrazione decente) spiccano 20-20 Vision, Stack O Lee, Microscope Feeling, Bowling Ball, Evil Eagle, Lightswitch. Si consiglia vivamente di recuperare anche questo documento sonoro come tutte le incisioni già nominate.

Con l’omonimo Bassholes (2005) Howland e Thomas continuano la loro perenne peregrinazione attraverso le label americane più integerrime, approdando alla Dead Canary del suo concittadino Lou Poster, leader e chitarrista dei Grafton ed intrecciando con lui e il suo trio le sue vicende artistiche (parecchi gig insieme; Poster e Donovan Roth che collaborano ad alcuni brani del disco). Bassholes è opera che continua con devozione l’operazione decisamente non ortodossa di contaminazione di densi umori blues e folksy con l’elettricità meravigliosamente svogliata della chitarra ed il vocalismo grezzo e chioccio di Don Howland. Il primitivismo sonoro di Howland sembra però assumere in questi 14 brani una forma più compiuta e matura, grazie anche a sapienti interventi di vari strumentisti, come negli stupendi arrangiamenti dei due traditional, il carismatico Broke Down Engine di Blind Willie McTell e John Barleycorn (Bo Diddley jungle-style), nelle polemiche e perentorie Fascist Times e Hell’s Angel, nei torridi intrecci guitar-harmonica (Pete Remenyi) di Caravan Man, nel country fascinoso ed acido di Daughter, con Carl Yaffey al banyo. Ed ancora un incredibile contagiosissimo impeto punkoide si trova in Purple Noon, freschezza ispirativa ed agili movenze in High Up In The Treetops per finire con la paludosa ipnotica Dingleberry Jam con le due chitarre di Howland e Derek Dicenzo. Beh, è valsa proprio la pena aspettare 7 anni: Bassholes (uscito in contemporanea con un mini-tour europeo che ha toccato anche l’Italia) è un altro capolavoro anni 2000 di Don Howland, un’opera di certo scevra dal profondo lo-fi degli anni ’90 ma densa, sfaccettata e penetrante.

Per completezza segnaliamo i tre solo-album di Don Howland (The Land Beyond The Mountains, 2002 – Birdman Records, Life Is A Nightmare, 2015 – 12XU Records, Endgame, 2020 – In The Red Recordings, che approfondiremo in un’altra occasione), l’antologia Bassholes di 45 giri e materiale inedito Broke Chamber Music – Early Singles And Unreleased 1992-1994 (2004) per la piccola etichetta newyorkese Secret Keeper e la compilation sempre della band del 2009 And Without A Name – Archives Series Vol. 7 (Columbus Discount).

Imperdibile release della Dead Canary Records, anche se risalente al 2003, è poi Blind Horse Campaign, primo lavoro sulla lunga distanza (dopo 2 singoli ed un vinile) dei Grafton di Lou Poster, fondatore della Dead Canary. Da tempo non ascoltavamo un sound tanto possente; i riff della chitarra di Lou Poster sono così taglienti da far male: il tiro di I’ve Been Lookin’, Slowpoke, Sinker, Down The Road, The Day They Ran Us Out Of Town è un cocktail micidiale di punk ed hard malato e stravolto, da riportarci a certe atmosfere dei Cheater Slicks. Poster poi ha una voce talmente grezza ed ubriaca da far invidia ad un Lemmy in stato di grazia. Ecco, forse è proprio così che i Grafton di Blind Horse Campaign a volte suonano: dei Motorhead a stelle e strisce inaciditi o tagliati male come una droga pesante. L’amore di Poster per il blues e le sue radici è tradito comunque sia da un episodio breve ma significativo come l’acustico The Captain And Big Muskie, giocato ipnoticamente su un solo accordo con tanto di slide ed armonica che dal potente e perforante boogie finale di Lord Baltimore. Credetemi: Blind Horse Campaign è un lavoro imprescindibile sia per gli appassionati di hard-punk che per quelli di noise-blues, capace di scrollarvi di dosso tanta di quella merdosa frustrazione da riempire un cassonetto.

Pasquale Boffoli

(articoli originariamente apparsi sui webmagazine Punkadeka e Freakout)

 

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The Bassholes Bandcamp

The Bassholes: Virginia Valley Blues

The Bassholes: 20-20 Vision

The Bassholes: Cockroach Blues

The Bassholes: Long Way Blues

Grafton “Blind Horse Campaign”