ZAIBATSU
"Zero"
(Killer Pool, 2015)

ZaibatsuDebutto discografico per la band laziale, formatasi cinque anni fa; la triade è composta dal cantante e chitarrista Gabriele Di Pofi, Andrea Maceroni, bassista e tastierista, oltre che tecnico del suono dell’album, registrato e mixato presso il suo Slam Studio di Corvaro e Augusto Zanonzini alla batteria. Avvincente “sound pattern”dalle stimmate pressappoco istintive e viscerali: “Siamo arrivati a Zero dopo una lunga fase di scrittura partendo da parti nate spontaneamente durante le jam. Dopo essere arrivati ad avere più di venti brani a disposizione abbiamo scelto quelli che ci risultavano più coesi tra loro, dopo di che abbiamo iniziato a pensare a come registrarli”. Cripticamente enigmatica e suggestiva, una cover art, nata come incisione xilografica, creazione di Cristina Ciampaglione, spiana opportunamente la via all’ascolto di Zero, intrigante, avvolgente, spigoloso “tappeto sonoro” (i cui testi in lingua inglese, manifestano esplicita denuncia verso l’alienazione dell’uomo moderno), che si articola in quasi quarantuno minuti dispiegati in dieci tracce. Il disco sviluppa il proprio sound sulla scia di capisaldi come Queens Of The Stone Age, Primus e Kyuss, ma prende sorprendentemente vita, attraverso la strumentazione prettamente analogica, in una propria imprevedibile, caratteristica e pregnante individualità. Zero, inteso come metafora della non esistenza, freddo distacco da ciò che dovrebbe incarnare gli autentici valori dell’essere, una critica spiccata all’insensatezza di alcuni comportamenti umani, riflesso speculare di una malata pseudo evoluzione sociale, il tutto traslato in un fascinoso itinerario musicale, dalle connotazioni caotiche, ma frattanto calcolate e controllate, quasi robotiche.

Immaginate risonanze dei gruppi prima citati “intrappolate” in una glaciale, oscura, non prevedibile e talvolta esplosiva dimensione stoner/noise nella quale fanno capolino spesso e volentieri escursioni math rock, progressive e persino psichedeliche, mentre ogni tanto si “vola” ai confini dell’industrial grazie ad illuminati “schizzi” di elettronica analogica; dichiaratamente esplicativi a proposito i quasi tre minuti di Technocracy, martellante e claustrofobica spirale sonora, che incredibilmente sospesa tra techno e stoner rock, si sposerebbe benissimo con un rave party, anche se i nostri, sul sito ufficiale dello Slam Studio, un po’ per gioco ma soprattutto per legittimamente divincolarsi da classificazioni ed etichette, si sono definiti, in modo innovativo “regressive rock”: “the sound of a post-civilization: an after-shock, eating the remains of what once was. This is what it sounds like when the machine stops running, and we all go back into the cold, desperate nights and vast, empty days. Welcome to an empire of nihilism and honest human decay. Regressive rock, for us post-modern primitives.”.

Album intenso e ispirato, pregno di molteplici sfaccettature; interessante e sorprendente mix di suoni, vorticosi e cangianti, che scorre via fluido, dalla prima all’ultima nota.

Luciano De Crescenzo