BAUHAUS
"Bela Lugosi's Dead"
(Small Wonder, 1979)

BauhausAgosto 1979, l’etichetta indipendente britannica Small Wonder pubblica il primo singolo di una band emergente di Northampton che porta il nome di una scuola d’arte e di architettura tedesca dei primi del ‘900, fondamentale per tutti i movimenti d’avanguardia e d’innovazione a venire: la Bauhaus. Il lato A conteneva una delle incisioni più dirompenti, più scioccanti, più sconcertanti del XX secolo: Bela Lugosi’s Dead. Forse solo da allora, molto più che con i Sex Pistols & Co., si comprese definitivamente che non c’era più niente da ridere, e che i sogni, le utopie e le promesse della “flower generation” erano falliti, e non erano stati mantenuti. E così si cominciò a parlare di un nuovo movimento, o addirittura di una sottocultura, di un nuovo genere musicale, e soprattutto di un nuovo stato esistenziale giovanile, identificato con il termine “gothic” (in Italia noto anche come “dark”), figlio del punk, ma agli antipodi nelle intenzioni. E Bela Lugosi’s Dead, registrata a quanto si dice in presa diretta, buona la prima, ne divenne il manifesto. Certamente Bela Lugosi’s Dead non fu il primo esempio musicale ispirato ad una cultura decadente e “maledetta” e interessato al lato oscuro, tenebroso, macabro e morboso dell’animo umano (perfino nella tanto detestata – da parte dei punk – musica progressive ce n’erano stati numerosi esempi), ma a differenza dei suoi precedenti “simili” non dava alcuna possibilità di replica, e come un buco nero fagocitò tutto, e cancellò 25 anni di popular music. Mai prima di allora una canzone (utilizziamo questo termine solo per convenzione, e per intenderci) era stata costruita in questa maniera. Non esistevano precedenti.

Non era una novità l’utilizzo di una figurazione ritmica ossessiva e invariata dall’inizio alla fine, ma qui era l’intenzione a fare la differenza. Perché il nevrotico e impassibile tempo di batteria, che è un singolare incrocio tra il reggae e la clave di son di una bossa nova, rimane invariato per tutto lo svolgimento del brano (circa 9 minuti e mezzo) allo scopo di creare tensione, attesa, suspense e stato d’ansia più che di ipnotizzare l’ascoltatore. Il massiccio utilizzo di effetti come il delay e la variazione dei suoi moduli di velocità ad opera probabilmente dei tecnici in fase di registrazione, la distorsione, il riverbero e quant’altro, il basso funereo, ossessivo e tenebroso, la chitarra lancinante e indisciplinata, la voce monodica e minacciosa, più che riprodurre uno stato alterato della mente, vogliono creare une senso generale di sconcerto, atrocità, scempio, efferatezza. Insomma tutto vuole descrivere un ideale funerale di Bela Lugosi, il «Conte» Bela Lugosi – l’attore che aveva impersonato Dracula troppe volte, e che si era immedesimato con il personaggio al punto tale da perdere il senso della propria identità – come la teatrale messa in scena di sabba con pipistrelli, riti sacrificali e spose vergini. E tutto funziona in virtù di un particolare meccanismo di accumulo delle parti, che non risolve e non si distende, tenendo l’ascoltatore in uno stato esasperato di allarme e fibrillazione, preparandolo al peggio, ma senza svelarglielo.

Altro elemento peculiare di Bela Lugosi’s Dead è il senso dello spazio e l’utilizzo dei vuoti e delle pause che diventano parte integrante e funzionale della sua struttura, una struttura ferrea, di là delle apparenze. Infatti il brano, costruito essenzialmente su tre accordi, con un andamento ritmico sempre uguale e su quanto di più fastidioso possono creare una chitarra, un basso e una batteria, è caratterizzato da una logica granitica, anche se allo stesso tempo labile e sfuggente, nel senso che il suo flusso continuo è in realtà suddiviso in una serie di microsezioni che sono interrelate e funzionali al suo senso complessivo, e che per questo motivo vanno rispettate a menadito. Così ci sono i momenti in cui i musicisti devono star fermi, quelli in cui chitarra e basso devono muoversi nello spazio centellinando gli interventi per tenere alto il livello di tensione, quelli in cui invece bisogna sbracarsi e produrre i suoni più molesti, quelli in cui il basso deve effettuare in un preciso momento una microvariazione per accrescere il livello di drammaticità, quelli in cui chitarra e basso si devono allineare, quelli in cui, oltre alle strofe, la voce deve intervenire, e quelli in cui deve avere il buon senso di tacere. E se solo uno di questi elementi non funziona alla perfezione, l’intera struttura cade. Ed è facile farsi prendere la mano e fare di tutto questo un gran casino.

Questo è il motivo per cui sono pochi quelli che si sono cimentati a reinterpretare questo brano, e quasi sempre, tranne alcune eccezioni, il risultato è stato deludente. Al punto che gli stessi Bauhaus non sono sempre riusciti a riprodurre dal vivo Bela Lugosi’s Dead come si deve. Dall’incisione di questo capolavoro in poi sarebbe iniziato per i Bauhaus un percorso in ascesa alla conquista del successo e di sempre maggiori consensi, con altri capitoli degni della massima attenzione, si pensi al primo album In The Flat Field dell’anno successivo. Ma la band non sarebbe stata più in grado di eguagliare i livelli di Bela Lugosi’s Dead, trasformandosi sempre più in una parodia di se stessa, preoccupata sempre più dell’aspetto scenico, del make-up e in definitiva degli aspetti più esteriori del mondo e dello stato esistenziale che rappresentavano, a scapito dell’arte e della sua sostanza.

Gianmaria Consiglio