VOID WATCHER
"Aurora"
(Autoprodotto, 2016)

void-watcherSono passati tre anni dall’omonimo EP d’esordio di questo progetto solista capitanato dal neozelandese DS (ora trasferitosi a Londra), tre anni durante i quali, a chi non si è lasciato sfuggire questa uscita un tantino passata in sordina prodotta dalla Crepuscule Du Soir, il suono ipnotico ed avvolgente del folk oscuro di Void Watcher avrà sicuramente continuato a far sentire il suo richiamo di tanto in tanto. Fautore nei suoi albori di un folk ipnotico, vorticoso ed avvolgente, dalle sonorità piene e sostenute, che aleggiano nell’aria imprigionandoci tra spire vocali impalpabili, il progetto deve il suo nome ed i suoi costrutti sonici al Śūnyatā, una delle dottrine principali del buddhismo nota anche come “teoria della vacuità”. Musica per chi vuole viaggiare al di fuori dei confini della mente ed estraniarsi nelle ridondanti atmosfere ipnotiche di DS. Dopo una gestazione durata un anno e mezzo, l’omonimo esordio vede la nascita del suo diretto successore il primo settembre di quest’anno.

Uscito in concomitanza con la luna nuova in solo formato digitale sul Bandcamp del progetto, Aurora procrastina la tendenza di DS a confezionare lavori dalle esigue tracce, ma dalla durata per contro dilatata. Infatti, pur componendosi di sole quattro tracce, il lavoro supera la mezz’ora di durata, sorpassando così il suo predecessore che si aggirava attorno ai trenta minuti. Importante per comprendere un lavoro come Aurora è il concetto che vi è dietro, ben esplicato dallo stesso DS: inizialmente restio ad associare il nuovo EP al moniker Void Watcher – nome che più si adatta alle atmosfere mantriche ed esoteriche della prima uscita – vista la componente intimista e personale che lo alimenta, l’artista ha infine deciso di indossare nuovamente le vesti dell’osservatore del vuoto, questa volta quello dentro e non al di fuori di noi. Aurora parla infatti di impermanenza, in particolare del disagio che ci si auto-infligge quando la combiniamo con l’attaccamento. Lo sguardo di DS si sposta dunque verso una dimensione più intima ed annegata nell’emozionalità più oscura e depressiva. Il passaggio è ben evidenziato dalle quattro tracce che compongono questo viaggio doloroso, espresso attraverso un approccio sonoro rinnovato.

Come si evince dalla intro Succour i luminosi arpeggi di chitarra acustica sono stati sostituiti da quelli più depressivi e ridondanti di quella elettrica, accompagnati dalle solite percussioni minimali che, assieme al basso e alle vocals impalpabili, costituiscono la peculiarità ipnotica ed avvolgente del suono Void Watcher, questa volta molto vicino ad un sadcore / depressive rock scarno ed intimista, dall’espressività molto cupa ed incisiva. Novità rilevante sono le collaborazioni presenti all’interno delle tracce: in questo caso, lo psichedelico assolo di chitarra è affidato a Sol D’Hivierno, mentre nella successiva Crossed Hearts troviamo le vocal aggiuntive di Ibenholt, progetto acustico norvegese consigliatissimo. Questo secondo tassello si nutre della lentezza cadenzata dello scarno set percussivo e di tristi arpeggi abbarbicati su bassi fagocitanti, tastiere melliflue e vocal impalpabili. Anche qui non manca un assolo di chitarra che dona un po’ di colorito al nerissimo vortice della musica di DS. La successiva Dolour è invece il vero fulcro dell’album: pezzo più lungo (11 minuti) e, come da titolo, dolorosissimo nel suo viscerale incedere slowcore, dove arpeggi, vocal e bassi ingaggiano duelli depressivi tra picchi lucenti e neri abissi di disperazione cadenzata. Un incedere pseudo-doom che dilania e lenisce, scarnifica e risana, annienta e ricostruisce, portandoci inesorabili verso la chiosa di Aurea Hora, dove l’arpeggio e il basso saturano i timpani, costruendo ipnotismi sonori assieme alle solite vocal fantasmatiche. Pezzo dalla malinconia a suo modo positiva nel dipanarsi, finale emozionale più che depressivo a concludere un ritorno dalla lunga e sentita gestazione, frutto di dolori personali di un DS abile nel musicare la sua caduta nella disperazione e la sua risalita da essa in maniera impeccabile, sontuosamente scarna e famelicamente struggente. Suoni che portano puntuali all’annientamento di ogni volontà, estranianti mezzi di trasporto verso un vuoto cosmico e/o interiore nel quale ci ritroviamo inermi, osservando gli eventi.

Lorenzo Nobili