DI ESPERIMENTO IN ESPERIMENTO
"Cosa resta della musica sperimentale oggi?"
(Prima Parte)
Ad indicare determinate pratiche-esperimenti musicali esiste tutta una galassia di categorie-generi e sottocategorie-sottogeneri da mettere in ordine, non tanto per smania tassonomica, quanto piuttosto per circoscrivere con quanta più precisione possibile il soggetto trattato e il suo specifico ambito d’intervento artistico.
Il termine musica sperimentale (experimental music) fu coniato dal compositore-musicista John Cage nel 1955, che ne fu anche uno dei massimi e più influenti esponenti. Cage definì che “un’azione sperimentale è quella il cui risultato non è prevedibile”. Oltre all’autorevole Cage, in molti hanno detto la propria sull’argomento. Già nel 1953 Pierre Schaeffer, con la proclamazione della “Prima Decade Internazionale Della Musica Sperimentale”, tentò di accorpare sotto un’unica sigla: musica concreta (musique concrète) francese, musica per nastro (tape music) americana e musica elettronica (elektronische muzik) tedesca. Secondo Wolfgang Edward Rebner, è possibile definire musica sperimentale tutta quella prodotta dai compositori “che come Cage, focalizzarono la loro attenzione sul suono più che sul metodo compositivo”. Più tardi, Michael Nyman, in accordo con Cage, afferma che la musica sperimentale “fornisce la comprensione di sè stessa, che non deve essere interpretata come la descrizione di un atto giudicabile come successo o fallimento, ma semplicemente come un’azione il cui l’esito è sconosciuto”. David Cope descrive quella sperimentale come musica “che rappresenta il rifiuto allo status quo”. Warren Burt avverte che, “come combinazione di tecniche marginali e di determinato atteggiamento esplorativo, la musica sperimentale richiede una definizione vasta ed aperta ad un’ampia serie di possibilità”. Leonard Meyer rafforza il medesimo concetto quando afferma: “non esiste un’unica o addirittura preminente musica sperimentale, ma piuttosto una serie di diverse idee e metodi di essa”.
Inquadrata in questi termini la categoria “sperimentale” risulta essere un ombrello sufficientemente ampio da comprendere tanto le avanguardie storiche della prima metà del ‘900 (seriale, concreta, elettronica, scuola di New York), quanto le post avanguardie e le sue derive popular della seconda metà. La musica sperimentale nasce essenzialmente come “risposta” a tutta una serie di determinazioni-circostanze che hanno caratterizzato la storia del secolo scorso. L’esigenza di creare nuove idee-forme sonore è infatti l’effetto prodotto da un certo numero di concause fattuali qui di seguito inquadrate in quattro punti essenziali.
A) Le rivoluzionarie innovazioni tecnologiche, come il fonografo di Thomas Alva Edison (1887), un dispositivo che, per la prima volta, consente di fissare il suono su un supporto fisico. Ma anche la creazione di nuovi strumenti capaci di generare suoni mai uditi prima, a partire da: il Thelarmonium di Thaddeus Cahill (1897), il Theremin di Lev Termen (1924), le Ondes Martenot di Maurice Martenot (1928) e il Trautonium di Friedrich Trautwein (1928). Vanno inoltre ricordate le produzioni in serie di industrie come: la Triodo Audion di Lee De Forest (1906) marchio dei primi impianti di amplificazione del suono, o quella di Laurence Hammond (1929).
B) L’impossibilità di progredire ulteriormente in termini di sviluppo melodico-armonico, elemento cardine di tutta la storia della musica occidentale pregressa, determinata dal grado ultimo di complessità posta in essere dal serialismo dodecafonico e dai celebri studi sul sistema armonico condotti da Arnold Schoemberg.
C) Il contatto, sempre più frequente, con musiche extra-europee portatrici di codici “altri” rispetto alla tradizione occidentale. La circolazione delle prime registrazioni di etnomusicologia e lo scambio diretto con musicisti provenienti da zone ai tempi fuori dalle mappe sonore.
D) Il contesto storico-politico-sociale che ha segnato la prima metà del secolo scorso e generato cambiamenti epocali. Un tempo attraversato tragicamente da due conflitti mondiali, illuminato da grandi scopete scientifiche e rapidi mutamenti globali, determinati anche dall’avvento dei mezzi di comunicazione di massa.
Tutti accadimenti, questi, che vanno ad incidere significativamente sulla produzione culturale ed artistica. Le musiche più innovative del secolo scorso, sono infatti caratterizzate da un progressivo abbandono delle tecniche compositive tradizionali, a favore di un interesse crescente per il suono-rumore in tutte le sue componenti e possibilità espressive. Un secolo “esplosivo” come il ‘900 non poteva che generare una fitta pioggia di schegge culturali. Segni roventi ed acuminati disseminati in ogni dove.
Il mondo non è mai stato tanto chiassoso come oggi. Solo dopo molti millenni nei quali la natura ha svolto il ruolo esclusivo di generatore acustico, si è iniziato ad udire altro. La rivoluzione industriale e l’accentramento nelle metropoli hanno poi svolto, per ultimi, il ruolo decisivo di amplificatore-moltiplicatore del fenomeno. Gli spazi della vita civile, dalla modernità in poi, sono saturi di ogni genere di accidente sonoro. Ai rumori non-organizzati della folla, del traffico e del lavoro di una città, si sommano quelli organizzati delle musiche diffuse ovunque. Il nostro è il tempo del suono-rumore in ogni dove. Gli strumenti a nostra disposizione ci consentono di determinare attivamente il cosa-quando-dove relativo ai nostri ascolti, ma anche qualora, per un momento, ci volessimo sottrare all’udire, rimarremmo comunque prigionieri del suono-rumore che presidia, sempre e comunque, tutto il circostante: centri commerciali, supermercati, sale d’attesa, bar, ristoranti etc. John Cage sosteneva che uno dei compiti del compositore contemporaneo consiste nell’organizzare i nuovi rumori del reale al fine di neutralizzarne gli effetti negativi. Come dire che, la distinzione tra suono e rumore, piacere e fastidio, desiderato e indesiderato, sta unicamente nel senso di specie che ad essi attribuiamo. Se familiarizziamo con l’ascolto del rumore come elemento organizzato, iniziamo a pensare ad esso come organizzabile, cioè come parte di una struttura esteticamente riferibile alla categoria della musica. Così, più avanti, inizieremo a chiamarlo suono e non più rumore, dato che la sua definizione, come sappiamo, varia nel tempo storico e nello spazio geo-culturale. Una visione “in divenire” di questo tipo non è utile soltanto a comprendere certa musica sperimentale, a dotarsi degli strumenti per decodificarla e parteciparla, ma anche ad affrontare in modo migliore, più consapevole e selettivo, una realtà nella quale siamo immersi al di la’ di ogni scelta. Dunque, se il suono-rumore è un’onda montante, non resta altro da fare che attrezzarsi per surfare sulla cresta dello tzunami.
La sperimentazione in musica è essenzialmente una questione di posizionamento rispetto al senso del proprio operare artistico, una prospettiva che non sempre e non necessariamente deve coincidere con la ricerca formale e con l’impiego delle nuove tecnologie. Si può essere sperimentali utilizzando strumentazione tradizionale, vedi ad esempio l’inside piano o il piano preparato. Oppure, al contrario, si può non esserlo affato, pur impiegando gli ultimi ritrovati tecnologici, come accade per molti successi da classifica, che niente sperimentano, pur essendo prodotti in studi equipaggiati di strumentazione sofisticatissima. Nonostante questo, è evidente che l’innovazione tecnologica applicata agli strumenti musicali ha avuto un ruolo spesso determinante sullo sviluppo della musica sperimentale. Operare con dispositivi sonori mai visti prima ha sicuramente suggerito nuove possibilità espressive, stimolando e indirizzando la creatività di alcuni artisti in senso propriamente sperimentale. Se il supporto dei registratori non si fosse evoluto da nastro metallico a nastro magnetico, ad esempio, Schaeffer non avrebbe mai potuto immaginare la tecnica del taglia-incolla-riproduci ad anello, che sta alla base della musica concreta. Così come, il successivo passaggio alla registrazione multitraccia, ha indubbiamente allargato ulteriormente l’orizzonte creativo. Se poi guardiamo allo sviluppo della musica elettronica, da Stockhausen in poi, ci rendiamo conto che, nel corso dei decenni, ad ogni evoluzione tecnologica ha corrisposto l’emersione di idee, stili e pratiche diverse. Schematicamente: sintetizzatori “grandi” – elettronica “colta” anni ’50; sintetizzatori “medi” – pop fine ’60/primi ’70; sintetizzatori “piccoli” – pop fine ’70/primi ’80; sintetizzatori “di seconda mano” – techno; laptop e relativi software – nuove elettroniche fine ’90/anni ’00. E a ben vedere la storia ci insegna che è sempre avvenuto così. Ad ogni salto di tecnologie sono seguite nuove forme musicali: pianoforte – temperamento; chitarra elettrica – rock’n’roll; potenziamento dei sistemi di amplificazione – tutti i vari stili del pop/rock. Ma non meno importante della tecnologia al servizio degli strumenti musicali, è quella applicata ai mezzi di registrazione-riproduzione del suono e ai relativi supporti.
La registrazione del suono su supporto fisico, introdotta dalla straordinaria invenzione di Edison, e tutto ciò che si è sviluppato in seguito ad essa, è il punto di partenza di una rivoluzione di portata epocale. La possibilità tecnica di fissare e riprodurre l’universo sonoro, ha di fatto ridefinito il rapporto millenario tra umanità ed esperienza dell’ascolto. Dal fonografo in poi, ogni evento acustico può essere catturato e fermato per poi essere riascoltato in spazie e tempi diversi da quelli che lo hanno generato. La condizione del “qui ed ora”, fino a quel momento ineludibile, si annulla, in favore del “quando e dove” determinato dal libero arbitrio dell’ascoltatore. Con il suono fissato, non è più necessario essere fisicamente presenti nel luogo e nel tempo esatto nel quale l’orchestra esegue una data opera per poterla fruire. Si può udire un Raga o un Gamelan comodamente seduti sul divano del proprio salotto, senza aver mai visitato nè l’India, nè l’Indonesia. Così come, da Milano è possibile ascoltare le registrazioni di una scrosciante pioggia tropicale, o i boati di attività vulcaniche remote. Se l’attenzione esplorativa della musica sperimentale si è massimamente spostata dalle strutture musicali tradizionali al suono in senso più ampio, questo è stato in buona misura determinato dalla possibilità di osservare i fenomeni acustici “più da vicino” offerta dalle tecnologie che hanno reso possibile registrare su, e riprodurre da, supporto il suono stesso. Come dire che, l’uso di un microscopio, consente di passare dall’osservazione sul campo delle manifestazioni di una data epidemia, all’isolamento in laboratorio del batterio specifico che ne è responsabile. Quello che ne consegue, in termini di consapevolezza ed opzioni d’intervento, è di tutta evidenza. La progenie tecnologica del fonografo, dai sistemi analogici a quelli digitali, è vasta e nota a tutti: grammofono, giradischi, lettore-registratore a nastro magnetico, lettore CD, DAT, A-DAT, Mini-Disc, fino ai più recenti supporti digitali per la lettura degli audio-file, la cosiddetta musica liquida. Tutti i vari sistemi di registrazione-riproduzione audio che si sono succeduti (e spesso anche sommati-stratificati) nel tempo hanno contribuito a questa colonizzazione del suono-in-ogni-dove così connotativa del tempo presente. Un fenomeno pervasivo che è il risultato di uno sviluppo decisivo, una realtà le cui radici scendono ormai nel profondo del nostro vissuto socio-culturale.
Il fonografo di Edison e i nuovi strumenti musicali hanno dato fuoco alla miccia, ma la bomba è esplosa a livello planetario grazie ai media e alle economie-mercati ad essi legati. Le interconnessioni tra questi elementi sono vaste e molteplici. Le sperimentazioni delle avanguardie storiche, nella loro prima fase, hanno certamente avuto una circolazione limitata ad un circolo ristretto di artisti-studiosi. Di fatto, fino agli anni ’50, alle opere dei pionieri sonori, mancava la cassa di risonanza mediatica affinchè potessero raggiungere platee più vaste. Nel secondo dopoguerra, con lo sviluppo della radio e dell’industria discografica su scala planetaria, la musica sperimentale ha iniziato ad avere diffusione più vasta e capillare, uscendo dall’angusto ambito di seminari e rappresentazioni pubbliche per pochi “eletti”. Il formato esteso dell’LP, rispetto ai formati precedenti, è sicuramente più a misura di molte composizioni del genere. Inoltre, le trasmissioni radio potevano ormai raggiungere casa, senza dover comunicare incessantemente bollettini di guerra. Poi, nel corso degli anni ’60, le idee e le forme sperimentali iniziarono ad ibridarsi con la musica popolare ed, attraverso una nuova generazione di autori, trovarono anche fortunate applicazioni commerciali. In riferimento alla “penetrazione delle musiche d’avanguardia nel contesto popolare contemporaneo” vi rimando ai miei due precedenti articoli: “L’Ultima Dogana” ed “Avant(i) Pop(olo)”. Qui aggiungo solo che la parcellizzazione in tanti rivoli-generi-stili, progressivamente sempre più accentuata a partire dagli anni ’80 in poi, ha costretto i mercati della musica a ragionare secondo nuove logiche di ripartizioni settoriali. Ramificazioni specialistiche che rispondono alla regola del “a ciascuno il proprio”. Questa politica aziendale che tende a far quadrare il bilancio grazie alla somma di piccoli profitti derivati da tante voci d’entrata, ha finito per favorire l’emersione di sezioni di mercato minori. È così che la musica sperimentale, inquanto categoria commercialmente meno redditizia, si è trovata ad essere avvantaggiata dalle prime avvisaglie di crisi del settore. Questo è perlomeno quanto avvenne visibilmente nel corso degli anni ’80 e parte dei ’90. I nuovi equilibri economici, già di per se precari, furono però presto messi drammaticamente in discussione dall’entrata “a gamba tesa” di due nuovi fattori tra loro interconnessi: web e crisi. Vedi i miei due articoli: “Slow/Fast Listening” ed “Upload Generation”.
Queste le doverose premesse prima di addentrarci nel cuore della questione. Al prossimo appuntamento inizieremo a rispondere alla domanda posta dal sottotitolo: “Cosa resta della musica sperimentale oggi?”. Ovvero, c’è spazio per la sperimentazione nel panorama contemporaneo? Quali esperimenti restano da condurre? È ancora possibile e che senso ha procedere in questa direzione?
Gianluca Becuzzi