LOST SOUNDS
Black-Wave"
(Empty, 2001)

Lost SoundsMettiamo subito le cose in chiaro. I Lost Sounds e il loro secondo album Black-Wave sono rispettivamente la mia band e il mio album preferiti degli ultimi quindici anni. Ricordo perfettamente la sequenza emotiva che i ripetuti ascolti del disco scatenarono in me, a partire dal rifiuto iniziale al graduale affioramento di sprazzi di meraviglia fino alla quasi totale dipendenza. I Lost Sounds provenivano da Memphis. Furono l’ennesimo progetto di Jay Reatard (voce, chitarra e tastiere) insieme con Alicja Trout (voce, chitarra e tastiere), Rich Crook (batteria) e Jonas Garland (basso). Jay è stato uno dei rocker più genuini che l’America abbia potuto partorire all’alba del nuovo secolo. Ha cavalcato le scene fin dalla tenera età di quindici anni quando pubblicò il suo primo singolo sotto la sigla The Reatards.

In Black-Wave il rock viene afferrato per la gola, stuprato, fatto a brandelli, stravolto e poi ricomposto nelle sembianze di una creatura aliena e sinistra. Se non avete le orecchie ben allenate a certe frustate chitarristiche o a continue urla agghiaccianti, vi consiglio di cambiate immediatamente canale. Il titolo come pure la copertina parlano chiaro: un’onda oscura si sta abbattendo sul pianeta e sarebbe meglio darsela a gambe. L’umanità ha oltrepassato i limiti, è giunta ad un punto di non ritorno e quel mostro che essa stessa ha creato ora le si è rivoltato contro. L’elettronica, l’industrializzazione ovvero i simboli della nuova era, in termini sonori, ricorrono continuamente anzi direi riempiono del tutto lo spazio musicale. Durante l’ascolto ci si perde ripetutamente nei molteplici tentativi di afferrare qualche riferimento, ma i Lost Sounds non ricordano nessuno, i Lost Sounds sono i Lost Sounds e basta. L’unico fantasma che ricorre spesso ma furtivamente è quello dei leggendari Screamers. Uscito nel lontano 2001 per la Empty Records di Portland in formato doppio LP, tra le altre cose col vinile in svariati colori, Black-Wave presenta 19 brani uno più velenoso dell’altro. Alla voce si alternano Alicja e Jay, la prima lacerante, il secondo devastante. Dopo ripetuti ascolti l’album si svela in tutta la sua carica dirompente a colpi di percussioni malsane, distorsioni chitarristiche lancinanti ed urla disumane, in un ambientazione apocalittica e post-industriale. Gelide ventate dall’aroma cold-wave, cowboy in sella a navicelle spaziali, attacchi stellari sferrati da chitarre laser sono solo alcuni degli scenari che si schiuderanno davanti ai vostri occhi. L’uso distorto e minaccioso delle tastiere riporta spesso alla memoria gli Screamers, e quando poi le stesse iniziano a cambiare registro per indossare un abito marcatamente vintage, l’ambientazione futuristica evapora per lasciare spazio improvvisamente ad uno scenario da videogioco. Qualche attimo di tregua arriva solo con Don’t Turn AroundThrow Away, e Citats Blanc. Verrebbe da dire anche con Ocelot Rising I’m Not Me se non fosse per i loro lanci repentini in urla velenose. Dark Shadows con la sua ritmica robotica e Heart Felt Toys dal passo cadenzato che si dimena tra violenza e docili passaggi, toccano i punti più alti del disco. Il tutto si chiude sulle note di Walk In Line, un brano dall’intro che praticamente inventa gli Interpol.

Jay Reatard in tutto l’album mette in mostra una visione spudoratamente negativa del mondo che ci circonda, nei suoi testi carichi di denuncia e disperazione pare proprio voler urlare al mondo la sua incapacità di scendere a compromessi. Sarà stata forse questa sua incapacità a spegnerlo lentamente At 1620 Echles St., dove nel 2010 fu trovato il suo cadavere?

Salvatore Lobosco