ANUSEYE
“3:33 333”
(Vincebus Eruptum, 2019)

Gli Anuseye sono da annoverare ormai tra le migliori ed affermate formazioni rock italiane, originari del capoluogo pugliese Bari. Hanno messo a punto una convincente e personale fusione di stoner e psichedelia e trovato una casa accogliente nella Vincebus Eruptum, l’etichetta savonese indipendente di Davide Pansolin più impegnata a promuovere in Italia quelle tendenze del rock contemporaneo ormai più che collaudate a livello internazionale ed europeo in particolare. Filiazione dei vecchi, già duri That’s All Folks!, gli Anuseye, guidati dal chitarrista-cantante-compositore Claudio Colaianni (anche ex Colt.38), se ne sono spartiti l’importante eredità con gli altrettanto interessanti Crampo Eighteen di Nino Colaianni, usciti di recente con un secondo disco più orientato verso un hard voodoo blues.

3:33 333 – singolare titolo simbolico del continuo conflitto tra bene e male, a quanto ci ha rivelato Claudio – invece è il terzo lavoro in studio degli Anuseye (dopo Essay On A Drunken Cloud, 2014 ed Anuseye, 2011), che confermano la loro fascinazione ed attrazione per un sound chitarristico ipnotico ed avvolgente (Sycamore Red, The Syrup, The Blend, la title-track), tutto basato su sovraincisioni, per nulla prodigo di soli auto-celebratori. Tuttavia emerge a tratti un’ispirazione più crepuscolare e melodica (Meet The Mudman, Armored), tendenza accentuata in un paio di occasioni dal saggio inserimento di un organo (suonato dall’altro chitarrista Stefano Pomponio). A sigillare 3:33 333 la splendida monotonia seriale del tema chitarristico finale – i quasi otto minuti di Vacuum Time Unit – che sottolineano un lungo talkin’ inglese di Alan Watts (altra rivelazione del leader della band), vecchio collaboratore e discepolo del guru acido/lisergico Timothy Leary, che vogliono celebrare i fasti dell’intramontabile psichedelia anni ’60. A completare la nuova recente line-up della band il bassista Giovanni D’Elia ed il batterista Damiano Ceglie.

Pasquale Boffoli