Categoria: Live reports

ROBERT PLANT AND SAVING GRACE
(Lignano Sabbiadoro / Bari, 26 agosto 2023)

Lignano Sabbiadoro, Arena Alpe Adria, 26 agosto 2023

È iniziato a Lignano Sabbiadoro alle ore 21.00 presso l’Arena Alpe Adria il tour italiano della leggenda vivente della musica rock Robert Plant che presenta il nuovo progetto musicale Saving Grace insieme a Suzi Dian voce, Tony Kelsey chitarre e mandolino, Matt Worley banjo, chitarre, cuatro e voce, Oli Jefferson percussioni. I cancelli aperti alle 19.00 per un pubblico già in fila dalle ore 18.00 per occupare i posti migliori delle gradinate, in platea le sedie erano numerate. Spartana, ma suggestiva la location che al tramonto del sole rende piacevole l’attesa dello spettacolo. Un concerto quello di Robert Plant che non ha nessun disco da promuovere, di cui si è parlato pochissimo anche in rete e che sembra ammantato dal mistero, tutti elementi che non fanno altro che aumentare le nostre aspettative. Pubblico stimato sulle 3.000 persone, molti attempati nostalgici con t-shirt celebrative dei Led Zeppelin e purtroppo pochi giovani, un vero peccato a nostro avviso.

Un palco essenziale, scarno, che vede come unica concessione scenografica l’immagine di un bisonte, con la scritta Saving Grace. Nella tradizione degli indiani delle pianure americane il bisonte era un animale sacro perché era la principale fonte di sostentamento di tutta la popolazione. Prima dell’arrivo dei bianchi europei vi erano tantissimi esemplari, per cui i bisonti assunsero il significato di abbondanza, di prosperità, di gratitudine, di coerenza e di protezione. Il bisonte incarnava il soprannaturale, insegnava a rispettare la vita e i cicli della natura, ad agire per necessità e non per schiacciare il prossimo. La “Grazia Salvifica” allora, a cui fa riferimento il nuovo progetto di Robert Plant, ha a che fare con la potenza della musica, con la sua sacralità e con il suo potere salvifico. Intervistato da un giornale locale alcuni giorni prima del suo arrivo in Italia, Plant dichiara di sentirsi benedetto da tutta la musica di cui ha potuto fare parte, dagli inizi in giovane età nei folk club inglesi passando per la gloria e i successi dei Led Zeppelin, fino agli amici che lo accompagnano ora. “Una Saving Grace perché mi salva” dichiara Plant, “dandomi una fantastica dimensione psichedelica, messa assieme ad una musica antica. Sono molto fortunato ad essere circondato da musicisti, cantanti, autori che mi fanno esplorare una musica da cui continuo a imparare, mantenendo la forza della mia voce e della mia attitudine. I Saving Grace sono la mia salvezza”. Un passato quello di Plant talmente imponente e ingombrante da cui, per non rischiare di rimanerne schiacciato sotto il suo peso, puoi solo cercare di prendere le distanze, mantenendo alta l’attenzione sul presente.

E il presente è quello di oggi, in cui viene mostrato il lavoro cominciato durante gli anni della pandemia, mettendo a punto un repertorio che include e mescola il folk di matrice inglese a canti tradizionali britannici e statunitensi, gospel, blues e rock. Il concerto inizia puntuale con Gospel Plow seguita da The Cuckoo in cui si respira l’aria dei territori del vecchio West, banjo e chitarre salgono in cattedra per una lezione di musica tradizionale americana. Let The Four Winds Blow dall’album solista Mighty Rearranger con gli Strange Sensation del 2005 mette in evidenza un Plant in stato di grazia che con Friends dei Led Zeppelin rende strepitoso l’inizio del concerto. Il pubblico è estasiato e applaude in maniera calorosa, la voce di Suzi Dian vola altissima e si fonde con le atmosfere da “misty mountain” ricreate sul palco a cui fa spesso riferimento Robert Plant. La giovane artista portoghese oltre alla voce si alterna al basso, alla chitarra e alla fisarmonica, una presenza magnetica la sua che incide in maniera forte sulla comunione di spirito, onestà e bellezza che viene proposta nel nuovo spettacolo creato da Robert Plant. Il concerto procede in un clima quasi onirico tra blues tradizionali, cover dei Led Zeppelin e bluegrass, le canzoni scivolano via una dopo l’altra: Out In The Woods, Satan Your Kingdom Must Come Down, In My Time Of Dying e Everybody Song dei Low. La scaletta prevede Too Far From You, Down To The Sea, pezzo dall’album Fate Of Nation del 1993, vero punto di svolta nella carriera solista di Robert Plant rispetto ai suoi primi dischi che tentavano ancora di scrollarsi di dosso l’ombra del dirigibile. The Rain Song e Four Sticks degli Zeppelin, Chevrolet è un rifacimento di Hey Gip Dig The Slowness una canzone del menestrello psichedelico inglese Donovan. Angel Dance una perla di rara bellezza dei Los Lobos, a dimostrare come sia eterogeneo, fresco ed eclettico questo nuovo progetto con i Saving Grace. Un fan esagitato mostra insistentemente un poster promozionale di un Robert Plant poco più che ventenne con tanto di colomba bianca in braccio, ma il nostro non la prende bene e a un certo punto risponde a tono “Non sono io quello … fo***ti”, a riprova del fatto che il tempo è passato e non si può più tornare indietro.

A nostro avviso la vetta più alta raggiunta durante l’esibizione è stata la cover di It’s A Beautiful Day Today del gruppo culto di San Francisco Moby Grape dove le voci dei due interpreti si fondono in maniera esemplare dando sfoggio di sicurezza e professionalità difficilmente eguagliabili. Una canzone che era rimasta nelle pieghe dell’anima di Plant fin dagli anni ’60 e che oggi finalmente dopo tanto tempo possiamo ascoltare nella sua nuova fantastica versione. È uno spettacolo bellissimo in bilico tra antico e moderno lontano anni luce dalla riproposizione rituale e stereotipata dei brani dei Led Zeppelin come avrebbero voluto la maggioranza dei fan. C’è ancora tempo nei bis per una travolgente versione di Gallows Pole e un traditional americano cantato a cappella da tutti i componenti della band, una buonanotte memorabile con And We Bid You Goodnight. Una lezione musicale impagabile questa di Robert Plant a dimostrazione del fatto che neanche gli Dei dell’Olimpo della musica rock hanno potere sul tempo che passa. La divinità Robert Plant è scesa tra noi comuni mortali a spiegarci che puoi solo viverlo il tempo, fino all’ultimo, ma non puoi vivere di soli ricordi.

Le altre date in Italia:
28 agosto: Sferiterio – Macerata
1 settembre: Rotonda Paolo Pinto – Bari
3 settembre: Teatro Romano di Ostia Antica
5 settembre: Teatro degli Arcimboldi – Milano
6 settembre: Piazza dei Signori – Vicenza.

Andrea Masiero

 

Bari, Rotonda Via Paolo Pinto, 1 settembre 2023

Venerdì 1 settembre 2023, Rotonda Via Paolo Pinto sul lungomare di Bari, una data che in tanti avevamo impresso nella mente per l’arrivo imperdibile del nostro amato Percy, come lo chiamavano i suoi compari ai tempi del dirigibile: Robert Plant, la voce, il frontman del più importante gruppo rock di tutti i tempi, i Led Zeppelin. Un evento che già sulla carta si rivelava imperdibile e che gli organizzatori del Locus hanno voluto per suggellare una grande stagione estiva di concerti in terra pugliese, cosa che fino a poco tempo fa era impensabile: siamo stati costretti per anni a fare centinaia di chilometri per i nostri idoli. La location è favolosa, il palco di fronte all’ingresso monumentale della Fiera del Levante con soli posti a sedere: ci sono davvero tutti, amici, conoscenti, musicisti, curiosi di tutte le età ed estrazioni sociali, l’evento è di quelli che entreranno di diritto nella storia musicale e non solo di questa città. Il palco con un telo con su scritto Saving Grace e un grosso disegno di un bisonte, luci molto semplici dal violaceo al blu, molto suggestivo così come la strumentazione disposta sul palco quasi a formare un semicerchio attorno ai due frontman della serata. Non si fanno attendere molto e poco dopo le 21 ecco entrare i tre musicisti/pluristrumentisti seguiti da Suzi Dian e Robert, accolto da un boato. Con quella semplicità che solo i più grandi hanno, Robert e i Saving Grace stemperano subito l’atmosfera sciorinando un paio di traditional folk in punta di piedi, con le voci perfettamente incollate seguite da una band puntuale e coesa nel suo impianto semi-acustico (o semi-elettrico).

Il quarto brano suonato è Friends da Led Zeppelin III, il disco di rottura dei Led Zeppelin dove forse Plant ha cominciato a vedere una via alternativa a quella dell’hard rock e del rumore, più legata alla ricerca delle radici, vicina a quella che poi ha percorso negli ultimi 30 e passa anni. Gli arrangiamenti della band sono essenziali ma sporchi al punto giusto, molto curati e di classe, proposti dai due chitarristi che si alternano con acustiche, mandolino, elettriche e la batteria sempre molto tribale, mai veramente invasiva. Molti arrangiamenti, nelle parti meno orchestrali, mi hanno ricordato il bellissimo Unledded No Quarter di Page & Plant degli anni ’90, disco che ho consumato e che ultimamente preferisco anche ai Led Zeppelin originali. L’atmosfera è ormai quasi familiare e tutti pendono dalle labbra di Robert che racconta un po’ di storie della sua giovinezza, di quanto abbia amato sin da subito il blues e abbia cominciato insieme a tanti altri suoi colleghi coevi a suonarlo in Inghilterra cercando una via europea a quel suono che veniva da così lontano. Il blues, il folk di matrice europea, il country, un mondo musicale parallelo: Plant, una delle star più riconosciute soprattutto dopo i dischi e i recenti tour sold out con Alison Krauss, ha fatto suoi tutti questi suoni e li propone con una semplicità e una convinzione che non sono una novità per chi ha continuato a seguirlo nella sua carriera solista.

Il nostro si rivela attento anche al “contemporaneo” proponendo una bellissima versione di Everybody’s Song degli americani Low, di cui spesso ha suonato anche Monkey e Silver Rider: il disco è sempre il medesimo, assolutamente da recuperare, The Great Destroyer e il tributo è anche a Mimi Parker recentemente scomparsa. Il tributo alle sue influenze continua con It’s Beatiful Day Today dei Moby Grape, band che è tra le preferite di Plant della scena psichedelica e folk della Summer of Love di San Francisco. Arriva quindi la gemma della serata, una Rain Song (da Houses Of The Holy dei Led Zeppelin) semplicemente perfetta nel suo minimalismo con le tastiere di J.P. Jones abilmente sostituite dalla fisarmonica di Suzi Dian: Plant dimostra che la sua voce è sempre lì, limpida e passionale come se non fossero passati cinquant’anni dall’uscita di quel disco che inaugurava la seconda parte della carriera degli Zeppelin.

Lo show vola via stiloso e con arrangiamenti mai fini a se stessi con altri brani dal suo repertorio solista come la bellissima Down To The Sea dall’album Fate Of Nations del ’93 seguita da Four Sticks dal mitico IV molto fedele nella strofa quanto trasfigurata nel ritornello. Lo show si chiude virtualmente, come ci tiene a sottolineare lo stesso Plant, con Angel Dance dei suoi amici chicani statunitensi Los Lobos pubblicata qualche anno fa da Plant su Band Of Joy, uno dei sui dischi più riusciti, tributo alla sua prima band in cui militava anche l’amico fraterno John Bonham. Dopo il consueto finto finale per una piccola pausa, la band rientra per proporre un altro traditional, Gallows Pole, in una versione abbastanza simile a quella presente su III e a parte di quei brani che i Zeppelin si erano divertiti a riarrangiare e rivedere sotto la guida di Jimmy Page. Il concerto di chiude tra le urla e l’eccitazione del pubblico con una versione a cappella di And We Bid You Goodnight, traditional suonato spesso anche dai Grateful Dead. Si chiude così una grande serata di musica grazie ad un artista settantacinquenne ancora vitale, in continua evoluzione e alla costante ricerca delle sue radici: un progetto sicuramente da riassaporare più volte questo dei Saving Grace, che torneranno in UK in autunno. Sarebbe bello riascoltare il tutto anche su disco: un altro tra gli innumerevoli progetti di Plant che dimostra, se ce ne fosse stato bisogno, di essere ancora all’altezza del suo mito.

Paolo Ormas

Foto di Paolo Ormas

 

Robert Plant

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Lignano Sabbiadoro, Arena Alpe Adria, 26 Agosto 2023:  Gallows Pole (video di Farco)

It’s A Beautiful Day Today (video di Barbara Callegaro)

The Rain Song (video di Farco)

Bari, Rotonda Paolo Pinto, 1 Settembre 2023:  And We Bid You Goodnight (video di Gianni Orlando)

BUGO Live
(Padova, Arcella Bella Festival, 14 luglio 2023)

Bugo Bugo Bugo!!! Inizia e finisce così il concerto di Cristian Bugatti in arte Bugo con uno zoccolo duro di fan che inneggia l’artista (nato a Rho nel 1973) e probabilmente tutti suoi coetanei visti i capelli bianchi di chi urlava più forte di tutti. 200, forse 300 persone ad assistere allo spettacolo di Padova inseriti nel contesto della kermesse Arcella Bella, nel suggestivo ambiente del parco Milcovich. Lontano dalle querelle e dai riflettori Sanremesi, Bugo torna a fare quello che gli riesce meglio, ovvero suonare e cantare per il suo pubblico che lo adora. Un fenomeno particolare il successo di Bugo sulle scene musicali da oltre 25 anni e con ben 11 album all’attivo, il primo una raccolta di brani lo-fi La Prima Gratta è del 2000.

Percorre la scena italiana contaminando rock blues, garage, folk, hip hop ed elettronica, si rifà al sound anni ’90, Jon Spencer, Beck come riferimento certo per Ne vale la pena? Ma dal passato a nostro avviso Bugo recupera anche un certo fascino per il nostro Rino Gaetano e per dei tipi svalvolati come gli Skiantos o gli Squallor. Un sound che va infine a lambire la canzone d’autore italiana rivisitata e corretta per le esigenze del nuovo millennio. Eletto artista dell’anno al Meeting delle Etichette Indipendenti 2002 di Faenza, non deve essere stato facile uscire e farsi strada in un ambiente musicale come quello italiano che vuole solo canzonette d’amore o i tormentoni estivi per fare soldi a raffica. Possiamo allora sottoscrivere per il lavoro di Bugo quel concetto del mitico Freak Antoni quando diceva che “Non c’è gusto in Italia ad essere intelligenti”.

Figura carismatica in concerto, quando appare sul palco è un boato di gioia e Bugo ringrazia, ringrazia sempre. Atteggiamento punk rock che lo ha visto tenere in scacco il pubblico per tutta la durata dello spettacolo, movenze non-sense tra una canzone e l’altra, a tratti sembrava il Celentano dei Rock Boys, il Vasco Rossi di inizi carriera o un Beck stralunato. Si parte con C’è Crisi uno dei suoi pezzi più famosi, poi Il Sintetizzatore, Come Mi Pare, la confessione di Io Mi Rompo I Coglioni, Vado Ma Non So, E Invece Si, Love Boat, la divertente Me La Godo, Mi Manca, Nei Tuoi Sogni, la bellissima Che Diritti Ho Su Di Te, una vera folk song d’autore. Molti chiedono la gettonata Casalingo che arriva subito dopo e Un Bambino, l’ultimo singolo che chiude un applauditissimo concerto. Supportato sul palco dal bravo Luca Manenti al basso, dallo scatenato Stefano Doninelli alla batteria e Marco Montanari alla chitarra solista, Bugo fa la parte del leone in gabbia durante tutto lo spettacolo mentre maltratta la sua Rickenbacker rossa.

Sale sulle transenne e viene sostenuto dai ragazzi in prima fila, si concede e saluta tutti, fa foto, benedice caschi da motociclista e lancia asciugamani intrisi di sudore al pubblico come una vera e propria rock star. Ma Bugo è intelligente e la sua è tutta una parodia di certi ambienti, uno scherzo, non se la tira per niente, anzi vuole fare passare l’idea che è uno di noi, allora scende dal palco e va in mezzo alla gente, fa un lungo giro tra il pubblico, bacia e abbraccia tutti, mentre i musicisti sul palco non sanno più come tirare avanti e improvvisano. Un Bugo scatenato che ha cantato a squarciagola tutte le 16 canzoni del concerto iniziato alle 22.00 e durato un paio d’ore. Per i bis nel finale ci sono Ggeell, Bollicine Di Vasco Rossi e Nel Giro Giusto. È bravo Bugo. Ascoltatelo, è uno di noi.

Andrea Masiero

 

Foto di Andrea Masiero

Bugo Official

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Ggeell/Bollicine, live 14/7/23, Padova

Love Boat, live 14/7/23, Padova

E Invece Si

Che Diritti Ho Su Di Te

BILLY JOEL Live
(Londra, Hyde Park 7 Luglio 2023)

All’inizio di uno spettacolo che si rivelerà sensazionale, Billy Joel avverte scherzosamente la folla che ha buone e cattive notizie. La cattiva notizia è che, nel corso della serata, non ha nuovo materiale da proporre e il bello è che il pubblico non dovrà ascoltare niente di nuovo. In effetti, l’artista newyorkese aggiunge che c’è solo una grande sorpresa: “Ho suonato in tutto il mondo per molti anni e questo è il sole più splendente che abbia mai visto. Ed è in Inghilterra!”. Una folla estasiata ed educatissima si crogiola nei raggi dorati mentre un sole mite tramonta lentamente su un uomo la cui carriera non mostra assolutamente alcun segno di stanchezza. Per il sottoscritto, seguire Bruce Springsteen la sera precedente sempre ad Hyde Park, si è rivelato abbastanza faticoso e a tratti arduo ma un magistrale Billy Joel, grazie ad una apertura affidata ad una doppietta euforica come My Life e Moving Out (Anthony’s Song), ha riportato tutto sui binari giusti. La sorpresa è stato vedere appassionati di vecchia data e ventenni cantare insieme, parola per parola e per tutta la durata dello spettacolo, perché questa è musica che trascende le generazioni e le tendenze passeggere.

Vestito con jeans, maglietta e giacca nera, in sostanza lo stesso look sobrio indossato negli ultimi decenni, questo settantaquattrenne è un artista che sa decisamente chi è e che conosce le sue infinite qualità. Un compositore raffinato ed un esecutore impeccabile che, nel corso della sua carriera, ha saputo regalare al suo pubblico decine e decine di canzoni riuscite ed evocative. Non sono molti gli artisti che possono vantare un catalogo musicale come il suo. Joel dà prova di essere un abile pianista in grado di essere ispirato in fase compositiva tanto dai Beatles e da Ray Charles quanto da Beethoven, oltre che essere un bravissimo show man. La terza canzone, accolta da un boato, di un set di due ore pieno zeppo di classici è infatti già una dichiarazione di appartenenza: The Entertainer. On stage non sono necessarie scenografie sontuose o effetti speciali. Solo un cantautore di livello universale con il suo favoloso e invidiabile catalogo che può viaggiare tranquillo e sicuro visto che è affiancato da una band di polistrumentisti di classe affiatatissimi. Billy Joel lascia scivolare i suoi pezzi tra le mani dei suoi fidi, preparati e precisi musicisti, in grado di masticare sia rock’n’roll vintage che virare verso impennate di matrice jazz. Il suo catalogo è così ricco che offre al pubblico la possibilità di scegliere tra Just The Way You Are e Vienna. I rumorosi fans appassionati nelle prime file optano quest’ultimo pezzo, forse meno noto ma ricco di fascino europeo e poi vengono estasiati con brani ancora più profondi come l’elaborata Zanzibar, la narrativa Allentown e la roccata Sometimes A Fantasy.

Non è la prima volta che assisto ad un suo concerto, ma in questa location, Joel è in una forma vocale superba e contagiato di buon umore. Quando esce da dietro il pianoforte, le donne urlano tra la folla e lui replica: “Non metterti in mutande, non sono Mick Jagger”. E poi Joel e la band irrompono in Start Me Up dei Rolling Stones, con tanto di esilaranti mosse alla Jagger. Ha solo il tempo di asciugarsi la fronte e colpire con sicurezza tutte le note alte del gospel di An Innocent Man, proposta in una versione da antologia, e nelle gioiose armonie corali doo-wop di The Longest Time. La pelle d’oca formicola mentre un giro di piano si increspa tra la folla e tutti ondeggiamo mentre si scivola con grazia in New York State Of Mind che si conclude con un sensuale flirt prolungato tra il pianista e il suo sassofonista storico Mark Rivera. Arte pura! E c’è vera magia quando parte il delicatissimo valzer di She’s Always A Woman, con l’intera folla che canticchia dolcemente e rispettosa mentre i grandi schermi fanno lampeggiare immagini di donne sorridenti e piangenti tra il pubblico. Ma non passa molto tempo prima che il pianoforte boogaloo e i sassofoni jiving facciano saltare tutti di gioia su Only The Good Die Young prima del vero fulcro glorioso dello show rappresentato come sempre dal film messo in musica dell’operistica “Scenes From An Italian Restaurant”.

L’intera folla è ancora più rumorosa su una versione funambolica, con tanto di tributo a Tina Turner, di The River Of Dreams e sull’immortale Piano Man dove Billy Joel parla per tutti i presenti mentre canta: “É una folla abbastanza numerosa per essere venerdì, e il proprietario mi sorride perché sa che sono io quello che loro sono veduti a vedere per dimenticarsi della vita per un istante”. Dopo un breve saluto, Billy torna sul palco per i consueti bis che iniziano con le fiamme che rimbalzano attraverso gli enormi schermi con un’adrenalinica We Didn’t Start The Fire. C’è anche il tempo per un’apparizione un po’ casuale di Joe Jonas, che a dire il vero sembra un po’ perso e in imbarazzo sulla danzereccia Uptown Girl. Questa comparsata è stato l’unico passo incerto ma assolutamente irrilevante in una notte magicamente impeccabile incastonata nelle scatenate It’s Still Rock’n’Roll To Me, Big Shot e in una inaspettata Hard Day’s Night dei Beatles, dedicata a Ringo Starr nel giorno del suo compleanno. Billy Joel chiude il tutto con l’inarrestabile treno rock di You May Be Right, esteso in un lungo outro incredibilmente esplosivo con l’intera band che si scatena su Rock And Roll dei Led Zeppelin mentre il pianista martella sui tasti. Cinquant’anni dopo l’uscita del suo album Piano Man, il ragazzo del Bronx rimane uno dei più grandi intrattenitori di tutti i tempi. Quello proposto ad Hyde Park è stato uno spettacolo unico e ricco di emozioni grazie alla dimensione live che esalta le doti di un musicista in piena forma, spalleggiato da una band da brivido. Non resta altro che sognare ed attenderlo con una nuova prova di studio che ormai manca dal lontano 1993 e che molto probabilmente non ascolteremo mai. Da allora Billy Joel ha preferito vivere artisticamente prendendo alla lettera i contenuti descritti nell’amara riflessione del brano Piano Man, continuando a cantare per coloro che la sera vanno a vederlo con il solo scopo di dimenticare la propria vita per un attimo.

Marco Galvagni

 

Billy Joel

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