Categoria: Monografie

RAIN PARADE
“Gli ultimi raggi di un sole morente”

Rain Parade nacquero a Los Angeles nel 1981, attorno ad una piccola scena psichedelica innamorata della musica sixties denominata Paisley Underground, che comprendeva band quali Salvation Army (poi Three O’Clock), Bangs (poi Bangles), Dream Syndicate e appunto Rain Parade, a cui poi si aggiunsero altre due formazioni, Green On Red e Long Ryders. La definizione Paisley Underground fu coniata da Michael Quercio, leader dei Three O’Clock, che rispose così, anche un po’ per celia, alla domanda di un giornalista che voleva dare un nome alla scena. I fratelli David e Steven Roback, rispettivamente chitarra e basso, e Matthew «Matt» Piucci (chitarra solista) si conoscevano già ai tempi dell’università, quando avevano militato in varie band dalla breve durata, ma poi si ritrovarono a Los Angeles ad un concerto delle Bangles e decisero così di formare i Rain Parade insieme a Will Glenn (tastiere e violino) ed Eddie Kalwa alla batteria. Il debutto discografico avvenne nel 1982, con il singolo What She’s Done To Your Mind / Kaleidoscope, con il primo brano che sembra un outtake dei Byrds periodo Younger Than Yesterday“, mentre il secondo, con l’organo in primo piano, è una affascinante ballata psichedelica con insistente riff di chitarra. Il singolo e i concerti fatti nell’area di Los Angeles fecero conoscere la band, che si conquistò un contratto discografico con la Enigma Records, emergente etichetta indipendente attenta ai nuovi suoni USA. Nel 1983 esce così il primo album, dal titolo Emergency Third Rail Power Trip.

In copertina una vecchia foto di fine ‘800 con delle mongolfiere, colorate per attrarre l’attenzione, e l’album si rivela un piccolo grande capolavoro. I tre leader collaborano nella scrittura delle canzoni e si divisero i compiti di cantante solista: il disco si apre con il jingle jangle di Talking In My Sleep, per proseguire con la pietra miliare This Can’t Be Today, una canzone che sembra uscita dal Technicolour Dream della Londra del 1967, con organo e chitarre che inseguono le voci. Il resto del disco continua su atmosfere decisamente psichedeliche (è presente pure un sitar, suonato da Piucci) e di influenze più inglesi che americane, ci si sentono i Pink Floyd di Syd Barrett, ma anche sapori di altri gruppi inglesi come Open Mind, nei brani I Look Around, 1 Hour 1/2 Ago, Saturday’s Asylum e nella rilettura di Kaleidoscope.

C’è però spazio anche per altro: Carolyn’s Song, una ballad per chitarra acustica e violino cantata da David Roback, la lunga Look At Merri, che fonde la ballata folk con una chitarra acida e un basso alla Television, la rilettura sempre più byrdsiana di What She’s Done To Your Mind e, per finire, il garage di Look Both Ways, con tanto di armonica alla maniera dei Count Five. Un album che è sicuramente il prodotto più psichedelico uscito dal Paisley Underground ed una delle migliori espressioni della musica psichedelica di ogni tempo.

This Can’t Be Today

What’s She Done To Your Mind

Kaleidoscope

Look At Merri

Durante le registrazioni dell’album, David Roback dà segni di insofferenza e decide di andarsene per formare con Kendra Smith, dimissionaria dai Dream Syndicate, i Clay Allison, che diveranno poi Opal. Sulla vicenda, così si è espresso Matt Piucci in una recente intervista per il web magazine americano It’s Psychedelic Baby: «Tre songwriter nella stessa band sono una cosa difficile da gestire. David Roback era un grande artista e voleva fare le cose alla sua maniera, quello che successe fu che il mondo ebbe altre due grandi band, gli Opal e poi i Mazzy Star, oltre ai Rain Parade». David Roback, prima dei saluti nel 1984, coinvolge però il fratello Steven, Will Glenn e Matt Piucci, unitamente ad altri componenti dei gruppi del Paisley Underground, nella registrazione di Rainy Day, fenomenale album da lui prodotto, contenente nove cover di brani di artisti a lui cari. Il violino di Will Glenn è presente nella fantastica versione della dylaniana I’ll Keep It With Mine dove accompagna la voce di Susanna Hoffs, nel traditional John Riley (già riarrangiato in passato dai Byrds nell’album Fifth Dimension) – brano dove compare anche Piucci alla 12 corde acustica – e infine in Holocaust dei Big Star dove appare anche Steven Roback al pianoforte.

I’ll Keep It With Mine

John Riley

Holocaust

Orfana di David Roback, la band non si perde d’animo e torna in studio per incidere un EP prodotto per la prima volta da una persona esterna al gruppo, Jim Hill (segnatevi questo nome, lo ritroveremo più avanti nella storia). Il disco, dal titolo Explosions In The Glass Palace presenta 5 brani, una più marcata ispirazione alla tradizione del folk rock americano e a band come Love e Byrds ed ogni traccia è, manco a dirlo, un gioiellino. Si parte con You Are My Friend, un jingle jangle composto a quattro mani da Piucci e Steven Roback, si prosegue poi con Prisoners, una lenta ballata psichedelica dove nella composizione, oltre ai due leader, entra anche Will Glenn. La prima facciata si chiude con Blue, un vivace brano scritto dal solo Matt Piucci che sarebbe piaciuto ai REM dei primi due album. Giriamo il lato del disco e troviamo Broken Horse, amabile folk ballad guidata dalla chitarra acustica, scritta e cantata da Steven Roback, con bellissimo assolo elettrico alla Crazy Horse nel finale. L’EP si chiude con No Easy Way Down, lunga jam psichedelica dall’atmosfera orientaleggiante, composta da tutta la band quando ancora ne faceva parte David Roback, con organo, chitarre, violino e violoncello protagonisti nel botta e risposta finale, che vorresti fosse prolungato all’infinito. In totale sono 21 minuti scarsi per un disco di rara bellezza. Una curiosità: la foto del fronte copertina mostra i quattro seduti sul prato di un parco, con un look piuttosto capellone, sul retro troviamo un’altra foto in cui i ragazzi sono passati tutti sotto le forbici del barbiere, come a dire: un nuovo look per un nuovo inizio.

You Are My Friend

Prisoners

Blue

Broken Horse

No Easy Way Down

Dopo l’uscita del disco, se ne va il batterista Eddie Kalwa, prontamente sostituito da Mark Marcum. Matthew Piucci, che in Explosions aveva suonato ed inciso tutte le parti di chitarra, si rende però conto che non riuscirà a ripetere la stessa cosa live ed allora viene chiamato John Thoman, che aveva già fatto parte della primissima incarnazione della band. Ma la grande novità è il cambio di etichetta discografica, con il passaggio dall’indipendente Enigma al colosso Island, che permetterà una più massiccia distribuzione a livello mondiale. Il gruppo entra così in sala per registrare il nuovo album, ma la Island impone un nuovo produttore, Steve Gronback. Il risultato è l’album Crashing Dream, pubblicato nel 1985, disco che abbandona le atmosfere psichedeliche per un suono più rock. Non ci sono brutte canzoni, ma la produzione rende il sound eccessivamente levigato ed omologato a tanti altri dischi del periodo, non c’è purtroppo più traccia del violino e le tastiere hanno spesso un suono da FM americana.

I Rain Parade appaiono anche alla TV inglese come si può vedere da questo video:

Piucci e Roback hanno dichiarato in un’intervista del 2023 al web magazine Psychedelic Scene che fu un errore non impuntarsi per mantenere Jim Hill ai controlli, le registrazioni con il produttore scelto dalla Island non li soddisfecero e il periodo con la major non fu dei migliori perché la casa discografica non era interessata allo sviluppo della band e non li promosse adeguatamente. Anche in Crashing Dream ci sono comunque dei brani meritevoli di attenzione, come l’iniziale Depending On You, con chitarre alla Neil Young & Crazy Horse, Don’t Feel Bad (ovvero come i Byrds avrebbero potuto reagire alle prese con la Milano da bere della metà degli anni ’80) e la misteriosa Gone West, con lisergico finale chitarristico. Con una produzione diversa sarebbe forse potuto essere un altro grande album, così invece si conquista solo la piena sufficienza, ma nulla di più.

Depending On You

Don’t Feel Bad

Gone West

Prima della fine del 1985 esce anche un live album, registrato dalla nuova formazione a cinque durante la tournée giapponese nel dicembre 1984. In Beyond The Sunset c’è il ritorno del loro produttore di fiducia, Jim Hill, e ritroviamo i Rain Parade psichedelici che più ci piacciono, con intrecci chitarristici, tastiere liquide e sognanti e pure il violino che appare in alcuni brani. Undici le tracce presenti nel disco, tratti dai vari studio album con due inediti (Night Shade e Eyes Closed) e due cover, Ain’t That Nothing dei Television (una dichiarata ispirazione) e Cheap Wine degli amici Green On Red.

Ain’ That Nothing

Cheap Wine

Eyes Closed

Purtroppo il sogno si infrange, per citare l’album Crashing Dream e, prima della fine del 1985, i Rain Parade si sciolgono. Steven Roback formerà i Viva Saturn coinvolgendo John Thoman e Will Glenn, lo stesso Glenn militerà poi nei Mazzy Star di David Roback, scomparendo purtroppo prematuramente nel 2001. Matt Piucci formerà dapprima i Gone Fishin’ con Tim Lee dei Windbreakers, poi entrerà nei Crazy Horse (sì, proprio quelli) e collaborerà pure con i Viva Saturn, oltre ad incidere dischi solisti. Piucci riprenderà anche l’università, abbandonata nel 1981, per poi laurearsi e lavorare per circa 30 anni nel campo della biologia molecolare. La storia però non finisce qui, perché nel 2012 Piucci, Roback e Thoman riformano i Rain Parade in occasione di un concerto di beneficenza e poi per un altro concerto nel 2013 insieme a Bangles, Dream Syndicate e Three O’Clock per una celebrazione del Paisley Underground.

Questo evento porterà poi al progetto di un album, dal titolo 3 X 4, che vede la luce nel 2019 per la Yep Roc Records. Ognuna delle band sceglie un brano delle altre tre da reinterpretare e i Rain Parade, di nuovo prodotti dallo storico Jim Hill, scelgono di incidere As Real As Real dei Three O’ Clock, Real World delle Bangles e When You Smile dei Dream Syndicate, tutte in versioni piuttosto stravolte rispetto agli originali.

When You Smile

Real World

As Real As Real

Dopo l’esperienza dell’album 3 X 4, Matt Piucci e Steven Roback ricominciano a comporre insieme nuovo materiale per Rain Parade. Con una nuova formazione, di cui fa sempre parte anche il chitarrista John Thoman, iniziano poi le registrazioni che vedono coinvolto il loro produttore di fiducia Jim Hill, arriva un nuovo contratto discografico con la Flatiron Recordings, che garantisce una distribuzione a livello mondiale.

Nel settembre 2023 esce così, tra la sorpresa generale, il nuovo album Last Rays Of A Dying Sun (qui la mia recensione).

Un disco che viene pubblicato dopo ben 38 anni dall’ultima incisione in studio e li riporta incredibilmente ai fasti della metà degli anni ’80. La band è in questo febbraio 2024 impegnata in un tour americano iniziata in gennaio e nel mese di giugno ne farà un altro in UK e Europa. Purtoppo al momento non sono previste date italiane, speriamo che qualche promoter nostrano sia interessato e si faccia sotto. Da quanto si può vedere dai video che circolano su YouTube il gruppo sembra in gran forma.

Qui li possiamo vedere, con i Dream Syndicate e Vicky Peterson delle Bangle, suonare You Are My Friend.

Qui in una recentissima sessione (23 dicembre 2023) di preparazione al prossimo, suonare una grande versione del loro capolavoro psichedelico No Easy Way Down.

La band ha dichiarato che ha già pronte nuove canzoni, che verranno incise nella primavera del 2024. Se saranno dello stesso livello dell’ultimo album, ci sarà di che gioire. Che dire, lunga vita ai Rain Parade!

Mario Clerici

 

Rain Parade

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Il sogno in jazz di JOHN COLTRANE

Della musica di John Coltrane si è soliti sottolineare la sospesa, fiabesca eleganza. Eppure, se questa può considerarsi una componente fondamentale di brani come My Favourite Things, Naima o A Love Supreme, altrove il musicista sembra essere interessato al racconto di altro. Spesso si dimentica infatti che nella carriera di qualsiasi artista possono trovarsi espresse anime differenti e talvolta contrastanti, sebbene, soprattutto presso il grande pubblico, quello scrittore o quel pittore sia sinonimo di una sola di esse.

Coltrane era nato nel 1926 ad Hamlet, nel North Carolina. A tutt’oggi è universalmente riconosciuto come colui il quale ha continuato la ricerca musicale avviata da Charlie Parker, anzi il solo che in quegli anni sia stato capace di farlo. Pur essendosi dedicato allo studio della musica a Philadelphia, presso la Ornstein Music School, non fu subito interessato a diventare un jazzista di professione, almeno non fino al raggiungimento dei suoi trent’anni. È allora infatti che Trane, dopo aver suonato in gruppi R&B, incomincia ad accompagnare i cantanti che si esibivano all’Apollo Theatre. L’incontro con Miles Davis prima, con il quale collaborerà lungamente e con Thelonious Monk poi, gli permisero di abbandonare le proprie insicurezze e di acquisire coscienza di ciò che avrebbe potuto esprimere.

Come tanti tuttavia, fu accolto da una iniziale incomprensione (durante una tournée in Europa fu addirittura fischiato) e solo in seguito si fece strada tanto nel pubblico quanto nella critica, la consapevolezza di trovarsi di fronte ad un genio, sebbene la critica stessa si sia spesso divisa nella valutazione di quale fosse il reale messaggio contenuto nelle composizioni di Coltrane. Alcuni ad esempio ritengono che in esso sia assente una presa di posizione esplicita a favore della causa dei neri e che il fulcro della sua creatività risiedesse in una sorta di misticismo che avrebbe poi portato di lì a poco all’affermazione del free jazz. Con questa parte della critica dobbiamo ammettere di non trovarci in accordo. Il discorso di Coltrane è complesso e consta di un numero infinito di componenti. Tra queste è, a nostro avviso, impossibile non cogliere quella dell’adesione profonda, benché implicita, al linguaggio della sua gente.

Esisteva poi un’urgenza che lo portava a ritenere prioritaria l’espressione di altre dimensioni, fino ad allora o non presenti nella realtà o non ancora rese esplicite da altri artisti. Trane sarà infatti il primo ad accogliere nei suoi lavori echi di tutto ciò che lo circondava, di quel momento gravido di cambiamenti dei quali era assolutamente conscio. Anzi, si ha con lui la sensazione che sappia chiaramente di vivere un’epoca nuova e diversa, che avrebbe potenziato massimamente le capacità esperenziali dell’uomo e che uno dei suoi propositi fosse esprimerlo nel jazz che andava creando.

E questo ci porta a chiarire quale sia, a nostro parere, la componente di maggior peso del suo complesso ed affascinante messaggio. Trane è un essere umano ed un musicista assolutamente conscio di dover essere testimone di sé e dei suoi tempi e di dover padroneggiare alla perfezione tanto i mezzi espressivi quanto i contenuti del suo discorso. La consapevolezza di questo progetto è in lui nettissima ed evidente. John Coltrane sa che un altro uomo si sta affacciando alla storia, lo descrive con precisione maniacale, ricercata, voluta, perché avverte con forza la novità di quanto sta accadendo. Morirà il 17 luglio del 1967 a quarant’anni, in conseguenza di una grave malattia epatica. L’uomo che è stato capace in anticipo di vedere e di descrivere è l’uomo di oggi, la complessità della sua vita, le tante dimensioni della sua realtà e dei suoi saperi, l’individuo visto con tanta chiarezza da John Coltrane è quello ancora presente dentro ognuno di noi.

Rosamaria Fumarola

 

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BERT JANSH: il trionfo del folk revival britannico

Bert Jansch (all’anagrafe Herbert) nasce a Springburn, sobborgo nel distretto di Glasgow, il 3 novembre del 1943 ed è oggi considerato, dopo la sua morte avvenuta ad Hampstead, vicino Londra, il 5 ottobre del 2011, uno dei maggiori esponenti del revival folk britannico, probabilmente il più importante, che ha raggiunto l’apice tra la fine dei ’60 e l’inizio degli ’70 grazie soprattutto a gruppi come i Pentangle (che Jansh ha fondato), i Fairport Convention e gli Steeleye Span. Bert Jansch ha lasciato un’impronta significativa con il suo stile chitarristico in artisti, anche coevi, come Nick Drake, Neil Young, Jimmy Page, Mike Oldfield, Paul Simon, Donovan e generazioni più recenti quali Johnny Marr, Beth Orton, Pete Doherty, Devendra Banhart, Ryley Walker, che lo hanno scoperto attraverso le sue pubblicazioni discografiche. Lo stile di Bert Jansch è una sintesi tra folk, blues e jazz con cui si presenta agli inizi degli anni ’60 nel locali londinesi arrivando dalla sua Edimburgo in autostop.

Il giovane Bert, avvalendosi di chitarre prese in prestito, grazie all’ingegnere del suono Bill Leader incide con un registratore a bobina una manciata di canzoni che vende all’etichetta Transatlantic per 100 sterline; l’album omonimo Bert Jansh viene pubblicato nel 1965, vende 150.000 copie ma nel tempo diventerà un “cult” dall’enorme influenza culturale contenente il suo brano di maggior successo Needle Of Death (poi ripresa su L.A. Turnaround). Sempre nello stesso anno pubblica It Don’t Bother Me sulla stessa lunghezza d’onda dell’esordio, e, nel 1966, Orion dove inizia già ad esplorare quelle innovazioni che si ritroveranno nei Pentangle, introduce ad esempio uno strumento inusuale come il banjo. Nello stesso 1966 avviene l’incontro con un altro giovane chitarrista di talento, John Renbourn, con il quale realizza un album, e ponendo le basi per fondare i Pentangle. Nel 1967 con la nascita dei Pentangle (Jansch e Renbourn alle chitarre, Danny Thompson al contrabbasso, Terry Cox alla batteria e Jacqui Mecshee alla voce) prende vita l’età d’oro del folk revival britannico; il disco omonimo d’esordio Pentangle del 1968 ottiene un plauso unanime dalla critica grazie alla fusione tra il folk tradizionale con blues, jazz e rock allargando, così, il consenso ad una platea di ascoltatori più vasta.

Fino al 1972 Jansch alterna la sua carriera solista a quella del gruppo e dopo una breve pausa si focalizza completamente sul suo percorso personale pubblicando nel 1974 il notevole L. A. Turnaround che, come si evince dal titolo, sposta il suo folk verso le atmostere country-rock californiane. Seguiranno negli anni seguenti ottimi dischi tra i quali merita una menzione speciale Avocet (1979), un disco dedicato agli uccelli registrato con la Ex Libris, una piccola etichetta danese, completamente strumentale, dalle atmosfere medievaleggianti. Alla fine degli anni ’70, con l’avvento del punk, la new wave e i sintetizzatori, la musica di Jansch non è più benvoluta sul mercato discografico ma l’artista scozzese continuerà imperterrito a pubblicare dischi folk, anche su piccolissime etichette, senza accettare compromessi legati alle nuove mode. Tra la metà degli anni ’80 e metà degli anni ’90, Jansch riforma i Pentangle ma la mancanza di John Renbourn, che decide di restarne fuori, e i tempi non più rosei della musica folk britannica rende sbiadita (nonostante l’ottimo materiale di questi 5 nuovi album) questa esperienza.

Verso la fine degli anni ’90, complice un nuovo interesse verso la musica folk, il nome di Bert Jansch suscita nuovamente curiosità tra gli addetti ai lavori; Toy Balloon (1998) vede la partecipazione del sassofonista Pee Wee Ellis (molte le sue collaborazioni con Van Morrison), su Crimson Moon (2000) alla chitarra c’è Bernard Butler dei Suede, su Edge Of A Dream suona Hope Sandoval (Mazzy Star) e lo storico violino dei Fairport Convention Dave Swarbrick, mentre sul suo ultimo disco The Black Swan, che dalla critica è stato definito il più bell’album di sempre dell’artista scozzese, ci sono Beth Orton e Devendra Banhart. Dazzling Stranger: Bert Jansch And The British Folk And Blues Revival di Colin Harper, con prefazione di Johnny Marr è ad oggi la biografia più esaustiva su grande chitarrista di Glasgow.

Rocco Sfragara

 

Bert Jansch

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Angie

Blackwaterside (1975)

Needle Of Death

Black Waterside

Magdalina’s Dance (da The Black Swan, 2006)