Assistere ad un concerto di Nick Cave è una esperienza mistica, trascendentale, è un rito di purificazione di massa e lui ne è il sacerdote, il maestro di cerimonia, è il traghettatore. Come un moderno Virgilio ci guida tra i gironi dell’inferno per condurci alla salvezza. Lo stesso inferno che lui conosce benissimo e nel quale, volente o nolente, ha trascorso diversi periodi della sua vita. Come un pastore pentecostale battezza e redime le nostre anime nelle acque agitate dei sentimenti umani. Come un moderno Noè, lui raduna le folle e le conduce sul suo barcone mettendole in salvo, dandosi in pegno e in ostaggio ai demoni, pur di tenerci al sicuro.

Questo è accaduto anche sul palco del Medimex a Taranto lo scorso 19 giugno durante una calda e pacifica serata. Il sole è appena tramontato sul martoriato mare tarantino e puntuale alle 21.00 comincia la messa, sul pulpito i suoi Bad Seeds e il mefistofelico padrino Warren Ellis. Nick Cave compare correndo e scalciando l’aria, i suoi paramenti sacri sono microfono ed abito scuro, sul leggio non il messale ma le sue fantasmagorie poetiche.

Si comincia con un trittico al fulmicotone, composto da Get Ready For Love, There She Goes My Beautiful World e From Her To Eternity, durante il quale Cave si agita, si dimena e si dà in pasto alle centinaia di braccia tese del pubblico in adorazione. Siamo ad una manciata di minuti dall’inizio ed è già una esplosione di adrenalina, la folla è in delirio e tocca calmarla. Eccolo allora, come uno sciamano a riportare la pace nei nostri cuori con l’esecuzione di O Children. Segue Jubilee Street dal finale anfetaminico, poi di nuovo quiete con Bright Horses, I Need You, Waiting For You e Carnage. È un continuo giocare sull’alternanza delle emozioni estreme, rabbia e pace, dolore e quiete, luce e oscurità. Ecco infatti arrivare, come i cavalieri dell’apocalisse, una triade esplosiva formata da Tupelo, Red Right Hand e Mercy Seat. A questo punto i quasi ottomila presenti in piazza sono estasiati, l’adorazione è collettiva e le prime file sorreggono il loro Re, non con la forza delle braccia ma con il cuore, Nick Cave sembra vicino a compiere il miracolo e iniziare a levitare sulle loro teste. Ma come sempre accade nella vita, la realtà ti riporta sulla terra e lo fa sulle note della bellissima The Ship Song con Warren Ellis a dare il tempo a Cave dando vita ad un siparietto comico. Si perché aldilà del tormento e l’estasi Nick Cave piace perché non ama prendersi troppo sul serio, lui sa di interpretare il cliché della rockstar, sa che è una finzione e gli piace demolire con l’ironia quest’aspetto dello showbiz. A seguire due potenti versioni di Higgs Boson Blues e City Of Refuge. A chiudere prima del bis una struggente ed epica versione di White Elephant, con il coro gospel ad intonare il canto finale di una celebrazione collettiva da brividi. Il bis è affidato alla poetica Into My Arms eseguita da solo al pianoforte, seguita da Vortex brano dei Grinderman, chiude la preghiera Ghosteen Speaks.

Dopo due ore e venti minuti di emozioni, sudore e sputi, Nick Cave saluta, ringrazia e lascia il palco sicuro di aver reso una folla di anime un’unica anima, accomunate dal verbo del rockandroll, quel verbo che vorremmo fosse in grado di cambiare il mondo. Un plauso va anche alla direzione del Medimex per i risultati ottenuti in questi anni, in termini di proposte musicali e presenza di pubblico anche grazie al contenimento del prezzo dei biglietti.

Nino Colaianni

 

Le foto sono di Nino Colaianni.