KVELERTAK 
“Splid” 
(Petroleum/Rise/Wørld, 2020)

Kvelertak: stretta alla gola. Splid: discordia. Ecco le traduzioni di nome del gruppo e del disco. I soloni dell’indie e del black norvegese li insulteranno senza requie: bene, vuol dire che qui c’è odore di qualità. I Kvelertak sono un gruppo nato per unire ma che finora ha diviso un pubblico intontito da decenni di musica depressa e mal prodotta, che non voleva sentire connubi empi per i miopi paladini del metal come sola violenza, al punto che il sito Metal Archives non li ha inseriti nella sua infinita enciclopedia;
e questo, perchè i norvegesi hanno osato. Splid è un necessario assalto al grigio maniero della modernità. Avevan fatto parlare di sé per tre uscite fra punk, AC/DC e black metal, ma già in Nattesferd qualcosa volava verso la melodia e la parola aborrita: classicità. Attirato alla produzione Kurt Ballou dei Converge, storico gruppo statunitense thrashcore, ha donato stratificazione e impatto cercati nel segno dell’anticonformismo. Kvelertak è un sestetto di 3 chitarre, dai suoni taglienti, dai testi in lingua natia. Le idee c’erano ma compromesse al ribasso, finchè il cambio di batterista e cantante han fonato la giusta visione. Nella miscela del gruppo si sono inseriti i Wishbone Ash via Iron Maiden e i Voivod via Enslaved, più i frutti d’un esperimento di 3 lustri fa: il compatriota Abbath aveva creato gli I, con un disco che immetteva nel black elementi dell’heavy. Di ciò c’è molto in Splid e grazie a tutti questi richiami l’animo eversivo dei norvegesi lancia una rivoluzione. Vocalmente più dotato del predecessore, ogni tanto Nikolaisen approda in territori degni di Marilyn Manson, ma su che brani … Grandi composizioni, arrangiamenti, produzione. Che altro dovrebbe essere la musica?

Rogaland dimostra dai suoi riff, dall’intarsio sonoro delle armonie, dalla foga del cantato, le nozze fra melodie classiche e irruenza estrema, Crack Of Doom ribadisce con un brano secco, Bråtebrann porta il tutto su un piano che nella strofa portante fa a pezzi tutti gli imitatori dei Motorhead e nel ritornello cita con gusto sopraffino Kashmir, come mai i Greta Van Fleet sapran fare … quando si dice il coraggio della ragione. Fanden Ta Dette Hull! spinge tutto oltre i limiti: nella prima parte seppellisce tutto il retro rock con un cesello magico di rifferama e melodie che s’incrociano sotto la stella di Argus, nella seconda sfonda come un castello di carte la pletora di pallidi imitatori di Testament e/o Kreator dimostrando cos’è il thrash, senza contare la citazione di The Trooper nel finale. In Tevling l’esperimento è più ardito: via Marylin Manson, il punk melodico mescolato con i Voivod di Angel Rat e sprazzi di new wave. I richiami ai Wishbone Ash si fanno evidentissimi Delirium Tremens, lunga cavalcata dove il finale sfida l’effereatezza dei conterranei. Il metodo Enslaved è totale in Ved Breden Av Nihil: inizia come ballata e fra le capriole melodiche degli arrangiamenti, finisce in territorio Immortal.

Splid è un disco con dei nei: i brani solo punk sono banali di fronte al maestoso gioco delle parti che lanciano in faccia all’ammuffita comunità di Poser che credono d’esser True, ai depressoni che vogliono che la musica non sia energia vitale, alla modernità asfissiante che nega la dignità a tutto ciò che può essere armonioso. Splid è l’inizio del nuovo decennio, speriamo sia un disco di transito per nuovi mondi nel rispetto della migliore tradizione: quella che eleva pubblico e artista verso il meglio, attraverso il meglio.

Luca Volpe