MARK LANEGAN
"Straight Songs Of Sorrow"
(Heavenly, 2020)

Nuovo album per Mark Lanegan, a corollario della biografia “Sing Backwards And Weep” uscita tempo prima. Lanegan ha evocato i fantasmi del suo passato e questi gli sono apparsi tutti insieme. Un passato fatto di droghe e di dolore, cadute e resurrezioni, di amici persi per strada. A suo dire non è stata una catarsi, anzi la montagna di merda accumulata in quegli anni gli è ricaduta addosso durante la stesura del libro. La strada, la morte che ti cammina accanto, la musica, le risse, le donne, il baratro e l’autodistruzione, sono lì a due passi, sono demoni pronti a tornare a farti male. La musica quindi come esorcismo, come unguento per placare i dolori e sedare lo spirito inquieto. I brani del disco nascono proprio con questo intento, sopprimere, soffocare i mostri di quegli anni vissuti pericolosamente e che la biografia ha risvegliato.

Straight Songs Of Sorrow, disco dal titolo emblematico è prodotto da Alain Johannes e contiene 15 songs preziose a cui il nostro ha lavorato con il contributo di Greg Dulli, Warren Ellis, John Paul Jones, Ed Harcourt. La cifra stilistica è la stessa a cui Lanegan ci ha abituato da diversi album a questa parte e cioè una sorta di elettro-gospel cantautorale. Stavolta ancora più minimale, poche chitarre, tutte acustiche e con beat elettronici e vintage. È però evidente il ritorno alle atmosfere oscure, sia per i temi affrontati nei testi che per la sofferenza palpabile nelle interpretazioni. I Wouldn’t Want To Say si apre con un organo Hammond vibrato col Lasley, su cui parte un drumming da marcia militare, l’insieme è distopico e Lanegan sembra un predicatore che dal pulpito incita i fedeli alla redenzione ma anche un dittatore che incita la folla. Apples From The Tree è una folk ballad dalle atmosfere bucoliche. Sia in questo brano che nel precedente il cantato disegna linee vocali del tutto nuove per lui. Ketamine ci riporta negli inferi di dark-Mark, nelle strade alla ricerca di dosi per passare la notte “Lord give me some ketamine so I can feel alright” una lirica che da sola vale più di mille biografie. Churchbells Ghost è una preghiera in ginocchio, una supplica al dio della rinascita, qui Lanegan è a dir poco commovente. Stockholm City Blues, arricchito dalle tonalità cinematiche del violino di Warren Ellis, è la colonna sonora di un girovagare notturno fra le strade della città scandinava ai tempi degli Screaming Trees. In Skeleton Key il nostro dichiara a chiare lettere “sono orribile, ho trascorso la mia vita cercando ogni modo per morire”. È un blues corrosivo, il manifesto espressivo dell’album. L’evocativa At Zero Below è una epica cavalcata western, con il beat a scandire i rintocchi del tempo che ci separano da una moderna apocalisse. Con la conclusiva Eden Lost And Found Lanegan torna in chiesa, stavolta non per pregare ma per ringraziare, “la luce del giorno è tornata, la luce del giorno mi chiama, sono grato di essere libero” chiaro riferimento alla schiavitù delle sostanze. Il cantato però è sottilmente divertito, quasi a voler ironizzare sulle difficoltà vissute. Una chiave di lettura delle sue tragedie che tende ad alleggerirle, come in molte frasi della biografia, una su tutte “l’eroina? […] è stato un modo per non morire alcolista”. Un disco ispirato, urgente, una spanna superiore ai suoi ultimi lavori, un album che ci riconcilia con il Lanegan degli esordi ma con una consapevolezza in più, quella della maturità e della ritrovata serenità, con le spalle larghe di chi è stato all’inferno ed è tornato vincitore, ammaccato ma vivo.

Nino Colaianni