BRUCE SPRINGSTEEN
"Covers Vol.1 - Only The Strong Survive"
(Columbia Records, 2022)

È la prima volta che Bruce Springsteen incide un album di cover o più semplicemente esegue delle cover? Assolutamente no, nel 1975 già “pepava” i suoi incandescenti (già di loro) live con la E Street Band con la Detroit Medley: omaggiava r&b e rock ruspanti del decano Mitch Ryder e i suoi Detroit Wheels con Devil With A Blue Dress, Jenny Take A Ride, Good Golly Miss Molly, C.C. Rider etc. … fulminanti soli di Bruce alla chitarra e di Roy Bittan al pianoforte. Negli altrettanti ormai lontanissimi anni ’80 del secolo scorso pagava tributo dal vivo alle sue radici folk eseguendo (tra l’altro) Chimes Of Freedom di Bob Dylan e This Land Is Your Land di Woody Guthrie. Nel 2006 ha pubblicato We Shall Overcome: The Seeger Sessions (CD+ DVD) con cui rivisitava più che brillantemente il repertorio di Pete Seeger, uno dei padri/padrini del folk americano, operazione ripetuta nel Live In Dublin (2007, 2 CD) con la Seeger Sessions ricco ugualmente di covers di Seeger. Per non parlare della sua strepitosa rivisitazione di London Calling dei Clash che si può ammirare nel doppio DVD del 2010 London Calling, Live In Hyde Park registrato a Londra.

È da sempre quindi a ben vedere che Springsteen affina in studio e live quell’arte delle cover che solo i “grandi” (americani in questo caso) riescono a far raggiungere vette elevatissime: Johnny Cash con i suoi volumi degli American Recordings ne è stato l’esempio più fulgido e ineguagliato, ma Springsteen ne segue certosino le orme con i suoi personali diversi spleen e weltanschauung anche attraverso questo suo nuovo Covers – Only The Strong Survive, ventunesimo album in studio, secondo interamente di cover.

Questa volta ad essere omaggiato in modo corposo è il repertorio R&B e soul americano soprattutto – ma non solo – degli anni ’60, tra le radici più profonde (insieme a folk e country) del suono e del rock springsteeniano: l’artista ha pescato 15 brani nei leggendari cataloghi di etichette quali soprattutto Motown, Gamble, Huff, Stax, nel suono di Detroit, Philadelphia, nell’uptown soul di Chicago. L’album è stato prodotto da Ron Aniello e registrato con gli E Street Horns (E Street Band). Inoltre Bruce è coadiuvato in molti brani da un’orchestra e vocalmente da un eccezionale coro femminile che tinge di gospel e spiritual alcuni episodi: la energica e scoppiettante Do I Love You (Indeed I Do) datata 1965, originale di Frank Wilson, e Turn Back The Hands Of Time (Tyrone Davis, 1970). Sam Moore del famoso duo soul/r&b Same & Dave (insieme a Dave Prater) campione anni ’60 del suono Stax Records si fa sentire alla voce con il boss in due brani, I Forgot To Be Your Lover (originale di William Bell, 1969) e nella robusta Soul Days (Dobie Gray, 2.000).

Molto intense e vibranti le riprese di I Wish It Would Rain (Temptations, 1967) ed Hey, Western Union Man (Jerry Butler, 1968). Due gli efficaci ripescaggi dal repertorio Tamla Motown dei grandi Four Tops: When She Was My Girl (1981) e soprattutto la fascinosa carismatica 7 Rooms Of Gloom (1967), qui in un’interpretazione del boss trascinante e potentissima, si vorrebbe non finisse mai. What Becomes Of The Brokenhearted (Jimmy Ruffin, 1966) è calda, lenta ballata accorata ed altrettanto bollente che seduce, Nightshift (Commodores, 1985) un po’ meno, caratterizzata com’è da un mainstream più accentuato. Un po’ scontata la ripresa di Don’t Play That Song (Ben E. King), la più anziana delle 15 song, risalente a quel 1962 in cui la incise in inglese anche il nostro Peppino Di Capri. Notevolissima invece la rivisitazione di Springsteen di The Sun Ain’t Gonna Shine Anymore (song comunque un po’ fuori musicalmente dal contesto generale del disco), uno dei singoli portati nel 1966 in vetta alle classifiche dai magnifici Walker Brothers di Scott Walker. La title-track Only The Strong Survive (1977, Billy Paul), reinterpretata anche da Elvis Presley nel 1969 in From Elvis In Memphis, serve su un piatto d’argento tutta la potenza e il ruvido carisma vocale di cui Springsteen è ancora capace nel 2022, caratteristiche del resto ben presenti in tutto il disco. Any Other Way (William Bell, 1967) è vitale, muscolosa, cattura i sensi. Ciliegina sulla torta Someday We’ll Be Together, brano del 1969 di Diana Ross & The Supremes, versione in gran spolvero ancora una volta.

Un disco Only The Strong Survive che forse ai fan duri e puri di Bruce più intransigenti potrebbe anche non piacere per l’effetto juke box che sortisce. Stessa cosa successa per altri versi nel 2019 con Western Stars, un lavoro piuttosto criticato e strapazzato (non da noi quando ne abbiamo scritto … al contrario!), seguito nel 2020 dall’ottimo Letter To You. Springsteen è artista multiforme, cangiante (come era Lou Reed ad esempio), mai uguale a se stesso, che a 73 anni incide sempre i dischi che vuole, senza curarsi delle reazioni che potrebbero sortire, soprattutto nei fan che lo vorrebbero sempre uguale a se stesso. Incidendo questo disco probabilmente si sarà molto divertito, e si ha l’impressione, ascoltandolo, che lo abbia fortemente voluto: non si spiegherebbero altrimenti 15 singole performance così vibranti, coinvolgenti.
“A rock & roll true believer with a poet’s heart, the Boss defined mainstream American rock in the late 20th century …” (Allmusic).
Nei 2000 Bruce Springsteen continua a stupire, a incidere dischi magnifici, ad andare dritto per la sua strada.

Pasquale Boffoli

 

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Only The Strong Survive

I Wish It Would Rain

The Sun Ain’t Gonna Shine Anymore

7 Rooms Of Gloom

Do I Love You (Indeed I Do)