PERFECT DAYS
(Regia di Wim Wenders, 2023)

Mario, un mio caro vecchio amico dei tempi del liceo classico mi ha confidato: “… Perfect Days mi è piaciuto perché assolutamente controcorrente, a differenza di tutta la netflixaggine che gioca sui generi e sulla “immediatezza”. È un film che invita alla meditazione e che sento ancora vivo dentro di me anche a distanza di un mese”. Parole che hanno l’impagabile dono della sintesi e che potrebbero bastare a definire questo ultimo film tutto nipponico e privo di una vera trama di Wim Wenders: pellicola che riesce miracolosamente, attraverso la puntuale e seriale reiterazione di abituali pratiche quotidiane del protagonista Hirayama (interpretato da un ineffabile e disarmante Kôji Yakusho) ad evitare qualsiasi pericolo di autocompiacimento di sceneggiatura ed estetica cinematografiche.

Sullo schermo scorrono minimali variazioni alla ripetizione delle abitudini lavorative e casalinghe di Hirayama (che vive da solo), si mescolano senza sussulti alle sequenze oniriche in bianco e nero delle sue notti. Altrettanto naif, candidamente poetico, il suo approccio a piaceri semplici di una vita senza scosse che celebra ogni mattina con un sorriso pieno di aspettative: alcune piantine da far crescere, libri da leggere prima di addormentarsi, foto scattate ad un maestoso albero “amico”. Solo nella parte finale del film arriverà una esuberante giovane nipote a sconvolgere un po’ un’immutabile esistenza di cui si scoprirà qualche particolare proveniente da un passato non ben precisato.

Anche questa volta Wim Wenders, come in tutte le sue precedenti pellicole, dissemina generosamente nelle due ore del film tracce del suo imperituro amore per la cultura e la storia del rock: lo fa con ammirevole discrezione attraverso le numerose musicassette che Hirayama ascolta nel suo furgoncino mentre si reca al lavoro, Perfect Days e il regista rilanciano il vecchio appeal delle “tapes” in modo ossessivo. È una piccola ma intensa epifania rock per gli appassionati seduti in sala, a patto che abbiano almeno 50 o 60 anni: dal Lou Reed di Perfect Day e Pale Blue Eyes con i Velvet Underground alla Patti Smith di Redondo Beach, dal Van Morrison di Brown Eyed Girl ai Rolling Stones della poco conosciuta Walkin’ Thru The Sleepy City (dalla vecchia raccolta Metamorhosis, 1975), dai Kinks di Sunny Afternoon all’Otis Redding di Dock Of The Bay.

Poi la sconosciuta giapponese Sachiko Kanenobu di Aoi Sakana (brano del 1972 dall’album Misora) e gli Animals dell’immortale The House Of The Rising Sun. Ciliegina sulla torta la splendida Nina Simone di Feeling Good: è il brano che Hirayama ascolta nel suo furgoncino nella emozionante sequenza finale del film, quando sul suo viso in primissimo piano un ripetuto abbozzato sorriso si spegne fatalmente in una smorfia di pianto dolente e viceversa. Ognuno di noi è Hirayama, Wenders realizza un piccolo miracolo, tutti possiamo rispecchiarci in lui.

Pasquale Boffoli

 

Link:

  1. Trailer italiano
  2. Soundtrack