STABBING JABS
“S/T”
(Beast Records, 2024)

Vengono tutti da Cincinnati (Ohio) i fieri e non più giovani rocker membri degli Stabbing Jabs, nuova formazione che ci ha messo tre anni dai suoi primi passi per incidere questo omonimo lavoro di debutto uscito il 5 aprile 2024: per la cronaca sono stati prima in incubazione tra 2019 e 2020 come Harambe’s Heroes ed hanno avuto una intensa attività live con una line-up leggermente diversa. Ad accoglierli orgogliosamente nella sua scuderia è stata un’ottima etichetta rock di nicchia francese di Rennes, la Beast Records. “Nuova formazione” è comunque un eufemismo per gli Stabbing Jabs, soprattutto per chi sta leggendo e ha una certa conoscenza (e passione) della scena garage punk/noise americana tra fine anni ’90 e primi due decenni dei duemila: a costoro dovrebbero essere ben noti i nomi del cantante Peter Aaron e del chitarrista William Gilmore Weber (militanza anche in GG Allin & The Murder Junkies) per essere stati l’anima coriacea dei magnifici e stravolgenti Chrome Cranks, responsabili tra il 1995 e il 2012 di un pugno di intransigenti lavori meticciati di sordido punk blues, tra le espressioni più alte dell’underground di nicchia a stelle e strisce (S/T, Dead Cool, Love In Exile, Live In Exile, Ain’t No Lies In Blood). A completare la line-up del disco l’altro chitarrista Chris Donnelly (Gang Green), il batterista Andrew Jody (Barrence Whitfield & the Savages) e il bassista Jamie Morrison.

Il primo approccio alle 11 tracce del disco dimostra in modo lapalissiano che gli Stabbing Jabs continuano con modalità sonore seriali l’orgoglioso percorso garage noise-punk dei defunti Chrome Cranks, lo riprendono semplicemente lì dove si era interrotto ad inizio 2012 con l’ottimo lavoro Ain’t No Lies In Blood, rivelando forse meglio, e a macchia di leopardo, le seminali influenze punk del binomio leader Aaron-Weber, indicate, del resto, dal cantante nell’intervista che ci ha concesso: Radiation Love ad esempio, l’estratto che ha preceduto l’album, e Broken Brain parlano chiaro (e più generosamente degli altri episodi) con i loro furori sonici di una pregiatissima ascendenza Stooges e Dead Boys, song aggressive e cariche di disperazione. Uptown Blues, uno degli episodi più entusiasmanti, riprende la passione dei Chrome Cranks per una sorta di blues storto e stravolto che, delle fattezze e misure più ortodosse di quel genere, ha poco e niente, ne “succhia” solo il mood decadente.

Un’armonica lamentosa di ascendenza blues suonata da Peter Aaron compare poi a sorpresa nella finale rovinosa You’re A Drag, un cadenzato e dissonante sabba che testimonia tutta la potenza sonica nichilista in studio degli Stabbing Jabs, persino più lucida, quadrata e micidiale di quella già memorabile dei Chrome Cranks. Little In Doubt (risalente al periodo come Harambe’s Heroes) è un’anomala punk song dal tiro glam che si dibatte pimpante tra fantasmi Damned e Dead Boys. La nevrotica ed eclettica interazione ritmica della batteria di Jody e del basso di Morrison con la micidiale coppia chitarristica Weber-Donnelly (che di rado ma splendidamente si concede soli) sortisce un asciutto minimale wall-of-sound assolutamente avulso da becere tentazioni metal che non lascia scampo e lascia attoniti in tutti gli undici brani senza eccezione alcuna (Drowning Girls, Bone & Breast, Bad Slime).

Il leader/lead singer Peter Aaron infine, come era prevedibile, non si risparmia e non fa certo rimpiangere la hopeless dissonante disperazione vocale che aveva reso grandi i suoi Chrome Cranks, anzi in alcuni frangenti la carica con dosi se possibile ancora più letali. Se l’è presa comoda Peter, ci ha messo dodici anni per dispensarci questo nuovo progetto ma ne è valsa decisamente la pena: S/T segna un altro fondamentale capitolo della sua personale saga di virulenta “deconstruction” lo-fi delle radici del rock dell’oltraggio americano, compagno di viaggio solo qualche valoroso combo, Cheater Slicks e Bassholes prima di tutti. Gliene saremo per sempre grati.

P.S.: per correttezza si precisa che il basso nel disco non è suonato da Jamie Morrison come indicato nella recensione (si è unito alla band dopo la pubblicazione del disco) ma da Tim Moore e William Weber.

Pasquale Boffoli

 

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