DE GUSTIBUS DISPUTANDUM EST
Sulla consapevolezza e l’esercizio del gusto

PREMESSA: TE GUSTA CHICA?

Di che cosa parliamo quando parliamo di gusto? Gusto soggettivo, gusto oggettivo, buon gusto, cattivo gusto, gusto innato, gusto educato … Gusto che determina ed indirizza scelte individuali e collettive nel campo delle arti, della musica e dello spettacolo, ma anche nei comportamenti, nelle mode e nelle varie espressioni identitarie: dal cibo al sesso ai costumi. La questione è davvero complessa e controversa ma non irrisolvibile. Proviamo qui di seguito a tracciare qualche coordinata essenziale per orientarsi nella selva di “mi-piace/non-mi-piace” nella quale incappiamo invariabilmente ogni qual volta si sollevi una querelle estetica e non solo …

PERCHÈ A CASA MIA È SEVERAMENTE VIETATO DIRE: “I GUSTI NON SI DISCUTONO”.

Perdonate l’estesa autocitazione. “Non è accettabile che si utilizzi la celebre locuzione latina che recita “de gustibus non disputandum est” per chiudere sempre e comunque qualsiasi disputa estetica. Quella frase significa “è inutile sindacare sui gusti soggettivi”, la qual cosa non esclude che esistano metri diversi dalla soggettività per misurare qualità e peso oggettivi delle cose. L’esercizio critico non può essere ricondotto unicamente alle ragioni della sensibilità personale, della “pancia”, escludendo così le tensioni oggettivizzanti della “testa”. Caso A: affermazione – “la musica dei Puffi mi piace tantissimo”. Risposta – “a me no”. Qui è tutto corretto, dato che le parti dialogano evidentemente sul medesimo piano della soggettività. Caso B: affermazione – “Bob Dylan è una delle figure più importanti della musica popolare del ‘900”. Risposta – “odio quell’ebreo di merda”. In questo secondo caso, invece, il confronto non avviene sullo stesso piano. La prima affermazione è di natura storico-critica e tende all’oggettivazione, la seconda, palesemente no. Oltretutto, va detto che una disputa oggettivizzante su un caso come quello di Dylan, si chiuderà rapidamente, a fronte degli svariati elementi provati che cristallizzano l’oggettività della prima affermazione. Parola di un non-fan di Dylan. E allora il gusto soggettivo non serve a niente? È solo un fardello inutile? No, al contrario, il gusto personale è un prezioso strumento di orientamento, è la bussola che tutti noi utilizziamo per individuare il nord e il sud delle nostre attitudini estetiche, per trovare l’habitat artistico a noi più congeniale. È in base a gusto e sensibilità se ognuno di noi ha sviluppato passioni e competenze in una data disciplina piuttosto che in altre, se io mi occupo di musica e non di danza o teatro. Le specializzazioni portano competenza e capacità di giudizio, a condizione di non confondere il proprio orticello con l’universo, mantenendo così uno sguardo vigile e curioso sulla complessità del circostante. La faziosità o “sindrome del fanzinaro” rappresentano il lato buio, la degenerazione di questa umoralità lunare, ma sta a tutti noi riconoscere e cautelarsi dall’inaffidabilità di tali forme di pseudo-critica, anteponendo la ragione e la ponderatezza alle logiche di cricca da curva ultras. Poi, c’è anche chi è permanentemente posseduto dal demone del cattivo gusto, e lì, si sa, a poco servono rituali sciamanici ed esorcismi.”. (“Diritto di Critica” Gianluca Becuzzi, Frastuoni 2 Aprile 2017)

IL GUSTO NON PIOVE DAL CIELO.

Scrive l’amico e musicologo Marco Lucchi: “… C’è poi anche la possibilità di rendere più condivisibili i gusti se gli si dà un senso, se si cerca di motivarli. I motivi per cui una cosa piace sono sempre più simili, rispetto alla cosa stessa, ai motivi per cui ad un altro piace una cosa diversa. Questo per evitare il fan-anatismo, appunto, e favorire il ragionare e l’argomentare.”. Infatti il gusto è sicuramente l’esito di un percorso, la somma di una serie di esperienze-conoscenze sedimentate nel tempo, una costruzione del sentire. C’è qualcosa di innato? Forse. Qualcos’altro di accidentale? Quasi certamente. Ogni individuo è dotato di lente e percorso esperienziale-biografico proprio. Ma va anche affermato con forza che quanto più ci si interroga sulle ragioni soggettive del “mi-piace, non-mi-piace”, incrociandole con quelle oggettive della storia e della critica, tanto più, con il tempo, si procede con sicurezza, discernimento e capacità selettiva. Certo, non è facile, a posteriori, riordinarsi tutto quanto e rendere conto delle proprie scelte, ma questo non significa che non sia possibile e utile farlo, o perlomeno, tentarci è doveroso. Se a puro titolo d’esempio dovessi fare il mio caso, credo che non potrei prescindere dal dispiegare tutto un ventaglio dietrologico particolarmente significante. Ero adolescente in epoca punk/post punk e questo mi ha insegnato “a guardare avanti”, oltrechè dotarmi di un profondo senso dell’essenziale, in sprezzo di posizioni conservative e tecnicismi-formalismi ridondanti. Sono stato un giovane studente d’arte educato alla riflessione-analisi estetica. Ho un carattere curioso che mi ha portato ad appassionarmi alle avanguardie colte ed extra-colte. Mi è sempre più interessata la tragedia della commedia, nonostante non mi difetti certo il senso dell’umorismo. E così via … Ad ognuno il compito di pettinare la storia dei propri ascolti, perché sapere da dove si parte aiuta a capire dove si è, dove si sarà e anche dove non ci troveremo mai.

GUSTO, AMORE, VOLONTÀ.

La costruzione del gusto personale dipende da una serie di incontri con cose, idee e persone avvenuti nel corso della vita e dalle passioni, innamoramenti che da essi sono scaturite. In ogni relazione amorosa, aver incontrato sul proprio cammino quella persona, piuttosto che un’altra, dipende dal caso, alcuni direbbero “dal destino” e la stessa cosa vale per l’oggetto artistico che ci ha sedotti. Aver riconosciuto e scelto quella persona o quell’oggetto tra tanti altri, al contrario, dipende totalmente da noi. Sì, avete capito bene, sono qui a sostenere che i processi attraverso i quali si forma il gusto estetico-artistico hanno più di un’analogia con quelli propri dell’educazione sentimentale e delle dinamiche relazionali. In entrambi i casi si tratta di esperienze che nel farsi significanti indirizzano il nostro sentire verso un’autonarrazione piuttosto che un’altra. Le analogie sono tali che addirittura anche i luoghi comuni, gli equivoci e le stupidità spesso coincidono. Di questi, il primo tra tutti da svelare è quell’atteggiamento spontaneista-fatalista-romantico secondo il quale saremmo tutti invariabilmente in balia delle nostre temperie interiori, senza possibilità di salvezza. In musica si dice: “a me questo piace tantissimo, io sento così, non c’è niente da discutere”. Analogamente in amore si dichiara: “è stato un colpo di fulmine, non potevo resistergli. Non importa se mi fa soffrire.”. OK, vi dirò una cosa impopolare: sono tutte cazzate. L’amore è una decisione. Non capita d’amare nessuno (o niente) e non ci si trova fortuitamente a farlo. Si calibra l’idea, si ponderano circostanze ed eventualità e infine si sceglie di amare. L’amore, in tutte le sue forme e manifestazioni, è il risultato di una scelta volontaria operata nel novero delle opportunità che la vita ci ha offerto, diversamente si tratta di nevrosi. A ognuno di noi aver colto nel segno oppure no.

ASSENZA DI GUSTO Vs CATTIVO GUSTO.

Cogliere nel segno, nel gusto (artistico-musicale) come in amore, si diceva dunque. Abbiamo stabilito che il caso ci offre l’opportunità di conoscere e sperimentare e che sta a noi accogliere le esperienze che ci sono più congeniali. Ma che cosa determina questo “fatale aggancio”, nell’estetica come nelle relazioni? In primo luogo si tratta di intuizione, fiuto, capacità di guardare in prospettiva, anche scrutando oltre le contingenze. Peschiamo un aneddoto probante dal mondo del pop contemporaneo: nell’ultimo Allen la curiosa vicenda di uno scrittore che si invaghisce di una ragazzina la quale niente sa di letteratura, troppo giovane e troppo diverso il suo background culturale, ma nella quale scorge tutte le potenzialità di convergenza relazionale, si fa esemplare. A coloro verso i quali il caso è ingeneroso, non si può muovere una colpa se finiscono per farsi piacere quanto viene loro proposto dalla radio o se sposano la fidanzatina del liceo. Diversamente, chi ha modo e possibilità ed è solo per miopia-incapacità, indolenza, pigrizia, cattiva fede che non coglie e tesaurizza le opportunità, è irrimediabilmente colpevole. Assenza di gusto, ma perdonabile e sanabile, nel primo caso, cattivo gusto con dolo nel secondo. Perché è chiaro che affermare: “A me piacciono i Pink Floyd” se nella vita ci si è imbattuti in quelli e solo quelli, per inerzia, si è ascoltato, è come aver sposato la prima donna “toccata” e dichiarare: “Lei è perfetta per me”. Davvero in questi casi si può evocare la scelta di gusto? Suvvìa, non raccontiamoci stronzate.

CONCLUSIONE: C’E’ GUSTO E GUSTO.

Tra i doveri imprescindibili di coloro che vantano un gusto in termini artistici ed estetico-musicali, c’è quello di interrogarsi sui componenti, sui caratteri e sulle ragioni di esso. Non è possibile né lecito, di contro, affermare di possedere un gusto se non si è in grado di argomentare circa questo. Una scelta di gusto, come la scelta di un compagno o di una compagna, per appartenerci davvero e rappresentare un’opzione consapevole, necessita di passare per una perlustrazione cognitiva, che segua la prima fase intuitiva e la seconda conoscitiva. Le preferenze possono essere anche divergenti rispetto a quelle di un ipotetico interlocutore: “a me piacciono brune sinuosette a lui rosse burrose, io preferisco la radical impro, lui i canti tradizionali gaelici”, ma un senso estetico solido e stratificato deve necessariamente essere provvisto di serie probanti. Esempio: “nel 1993 ho ricevuto un imprinting talmente segnante da una bruna sinuosetta da convincermi a lasciare a voi tutte le rosse burrose. Inoltre, in arte, la sperimentazione mi dà infinitamente più soddisfazioni della tradizione e meglio rappresenta il mio sguardo sul mondo.”. Perfino scelte musicali vagamente schizofreniche o un certo enciclopedismo in odore di spocchia velleitaria, se frutto di percorsi consci, sono ammessi, a condizione che non si ponga tutto sullo stesso piano, senza essere in grado di differenziare gradi e significati delle proposte. Ma soprattutto non c’è gusto (o c’è cattiva fede) in tutti coloro che a domanda posta finiscono puntualmente per rispondere: “Mi piace perché mi piace”. Guai a farlo, Signori e Signore, perché alla fine della fiera, altroché se DE GUSTIBUS DISPUTANDUM EST …

Gianluca Becuzzi